Domani il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dovrebbe consegnare al presidente del Consiglio Giuseppe Conte un rapporto sulle riunioni con i partiti della maggioranza che di fatto mette nero su bianco i contenuti della querelle con Matteo Renzi. Il documento ha come oggetto il piano per la ripresa, i suoi obiettivi e le risorse per raggiungerli; a meno di improbabili svolte dell’ultim’ora, il risultato sarà chiarire, cifra su cifra, il dissenso. La questione di fondo non è solo che cosa si fa, ma chi paga: l’Unione Europea o il mercato? Nell’un caso o nell’altro si tratta di accendere nuovo debito, anche se con un costo minimo. Il disavanzo pubblico ormai arrivato al 10% del Pil e di conseguenza il debito salito al 155% (con un aumento in un anno di 21 punti percentuali rispetto al prodotto lordo) sono destinati a crescere.
Gualtieri non intende rischiare: dei 127 miliardi di prestiti derivanti dal piano europeo, solo 52 dovrebbero essere aggiuntivi (in origine erano 40, ma sono saliti per cercare di ridurre l’attrito con Renzi) e quindi andrebbero a gonfiare il debito. Gli altri 75 miliardi servirebbero a pagare decisioni di spesa prese e non realizzate per mancanza di fondi, quindi in stand by, già contabilizzate nel bilancio pubblico. Italia Viva è contraria: vuole che i prestiti del Next Generation Eu servano a investimenti per nuove iniziative (soprattutto più soldi a sanità, scuola, cultura e turismo), mentre quelle già previste dovrebbero essere coperte in altro modo, con riduzioni di spese, aumenti di entrate ed emissione di altri Btp.
I motivi dello scontro tra Renzi e Conte sono molti, di natura sia politica sia personale, ma il leader di Italia Viva li ha astutamente concentrati su questioni che riguardano tutti gli italiani e l’intero spettro politico. Non sappiamo come la pensa l’opposizione; al di là dei molti slogan, la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia non hanno chiarito se danno ragione a Gualtieri o a Renzi. Certo, si possono sempre rifugiare dietro il comodo slogan né con l’uno né con l’altro, snocciolando l’elenco delle loro proposte. Ma anch’esse debbono comunque essere finanziate; torniamo così alla casella di partenza: chi paga?
Renzi ha fatto propria la distinzione di Mario Draghi tra debito buono e debito cattivo. Per lui quello cattivo è il debito che serve a tappare i buchi che non sono stati aperti dal Covid-19. Dunque, questo il suo ragionamento, un sano criterio di bilancio vorrebbe che le spese ordinarie o comunque pregresse venissero coperte con voci ordinarie. L’Ue ha deciso di mobilitare risorse nuove e straordinarie per far fronte alla pandemia e alimentare la ripresa. Quindi debbono andare a nuove iniziative.
Gualtieri non nega che questa sia la via maestra, ma deve rispondere ai richiami dell’Unione Europea, risuonati anche nell’ultima intervista al commissario agli Affari economici. Paolo Gentiloni non ha invitato soltanto a fare presto nel decidere e nel realizzare, anche con misure straordinarie, ma ha messo in guardia dalla tentazione di spendere e spandere. Contenere il più possibile deficit e debito è un requisito importante, perché nessuno può sapere quanto durerà la bonanza monetaria della Bce e quando verranno ripristinate le regole di Maastricht (probabilmente nel 2022, a meno che non si apra un processo di revisione, auspicabile, ma finora non previsto). Gualtieri ha scelto la prudenza, atteggiamento responsabile per un ministro del Tesoro con la testa sulle spalle. Ma… e qui comincia il grande Ma.
La spesa ordinaria finanziata con le risorse europee andrà anche ad aumentare gli stipendi per gli statali? I sindacati, ricordiamolo, hanno scioperato il 9 dicembre allungando così il ponte dell’Immacolata, per protesta contro incrementi del 4% ritenuti insufficienti (a fronte di una inflazione vicina allo zero). Lo sciopero anche se è stato un flop, ha lanciato un messaggio economicamente e moralmente pessimo. I partiti, sempre particolarmente sensibili allo scambio politico con i dipendenti pubblici, hanno allargato i cordoni della borsa. La Legge di bilancio aveva stabilito un fondo per i contratti 2019-2021 di 3,8 miliardi di euro; è stato ampliato alla sanità, ai comuni e all’università, portando la spesa a 6,7 miliardi. Come saranno coperti? Non solo. Come reagiranno i lavoratori dell’industria che rischiano il posto di lavoro non appena cesserà il blocco dei licenziamenti o le partite Iva travolte dalla pandemia? C’è il rischio che scatti una reazione a catena con una rincorsa a bonus e sussidi che, come sappiamo, non sono certo mancati nel 2020.
Se è così, altro che investimenti: alla fine della fiera buona parte dei fondi Ue serviranno a coprire trasferimenti monetari diretti o indiretti per lo più assistenziali. Siccome non ci sono pasti gratis, la pagheremo cara e pagheremo tutti.