Nella maggioranza si continua a lavorare alla messa a punto di una nuova bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), altrimenti detto Recovery plan, per cercare di superare le divergenze con Italia Viva e la conseguente crisi di governo. Come ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, gran parte dei 209 miliardi in arrivo dall’Europa “verranno erogati all’Italia nell’ambito di un contratto di prestito, di cui peraltro alcuni aspetti salienti non sono ancora noti. Un’altra parte, invece, verrà fornita a fondo perduto e non ci saranno quindi da pagare interessi, anche se si dovrà sottostare a quelle che saranno inevitabilmente le condizionalità legate allo schema generale del Recovery fund. Al di là di questo, credo che sia importante mettere in luce una contraddizione, sottaciuta in Italia, che di fatto non ci consente di sfruttare pienamente le potenzialità che queste risorse sul piano teorico ci offrirebbero”.
A che cosa si riferisce?
Nel momento in cui verranno reintrodotte le regole del Patto di stabilità e crescita, verosimilmente già dal prossimo anno, insieme al Fiscal compact sempre vigente, riavremo restrizioni sul deficit di bilancio e vincoli rispetto all’assunzione di nuovo debito pubblico. La contraddizione, quindi, consiste nel fatto che da un lato ci viene offerta la possibilità di attingere a nuove risorse, ma dall’altro il quadro di regole di finanza pubblica dell’Eurozona non ci consente di utilizzarle appieno.
Potremmo quindi avere risorse da spendere e contemporaneamente dover diminuire il disavanzo di bilancio, tagliando la spesa pubblica o aumentando le entrate con nuove tasse…
L’aspetto più preoccupante è che l’Italia, come ci dicono i numeri, è uno dei Paesi maggiormente colpito, a livello globale, dalla pandemia e già prima di essa aveva un’economia dai fondamentali molto fragili. Mettendo insieme questi due dati è ragionevole ritenere che per la ripresa della nostra economia occorrerà più tempo di quanto servirà ad altri Paesi europei. E per attutire l’impatto economico e sociale devastante della pandemia occorrerà uno sforzo di finanza pubblica importante.
Quello messo in campo quest’anno che ha determinato un extradeficit di oltre 100 miliardi…
Sì, ma lo sforzo di finanza pubblica non può limitarsi al periodo di picco di contagi: dovrà permanere nel tempo per riparare gli effetti delle devastazioni economiche provocate dalla pandemia. È chiaro quindi che se già dall’anno prossimo verranno reintrodotti i vincoli europei di finanza pubblica, la capacità dell’Italia di riparare gli effetti economici devastanti della pandemia saranno compromessi. Se, da un lato, abbiamo la possibilità di attingere alle risorse europee, dall’altro, proprio perché vi attingiamo, ci troveremo più in difficoltà nel derogare a parametri e restrizioni che non sono funzionali alle nostre esigenze nei prossimi anni. Da tempo abbiamo quindi un dibattito politico sul Recovery fund che non tocca questo aspetto critico. Rilevo anche un problema di assenza di trasparenza, perché una serie di parametri legati allo schema di aiuti del Next Generation Eu non sono ancora del tutto noti. Questi sono problemi rilevanti con cui dovremo fare i conti quando l’attenzione si sposterà dalle conseguenze epidemiologiche a quelle devastanti sul piano economico e finanziario della pandemia.
La mancanza di conoscenza sulle condizionalità della parte a prestito dei fondi di cui parlava prima da cosa dipende: sono dettagli che non sono stati resi noti o che invece non sono stati ancora discussi in sede europea?
Nei documenti pubblicamente disponibili esistono ancora numerosi aspetti da chiarire e probabilmente bisogna ritenere che non siano percolati all’opinione pubblica tutti i parametri che sono stati oggetto di negoziato.
Tra l’altro la posizione di Portogallo e Spagna, intenzionati a non ricorrere alle risorse a prestito del Recovery fund, la dice lunga sulla scarsa chiarezza circa le condizionalità previste…
Sì, soprattutto perché le riserve sulle risorse a prestito arrivano da Paesi che non si possono certamente definire euroscettici.
Nella maggioranza sembra esserci uno scontro tra chi vuole utilizzare le risorse a prestito per nuovi investimenti e chi invece, per non aumentare il debito pubblico, intende usarle per programmi già previsti. All’Italia conviene veramente utilizzare questi prestiti per la sostituzione di risorse che potrebbe reperire sul mercato?
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe avere piena contezza, che oggi non abbiamo, di quelle che sono tutte le effettive condizioni sottostanti al prestito. Devo dire che da un lato le continue tensioni all’interno della maggioranza sembrano purtroppo sottolineare l’interesse a una gestione altamente politica di questi fondi. Dall’altro, credo che il contrasto tra Renzi e Conte sull’utilizzo delle risorse racchiuda il senso di quella contraddizione di cui parlavo prima: abbiamo cioè la possibilità di attingere a un bacino di risorse molto ampio da destinare alla riduzione dei gap infrastrutturali che l’economia italiana ha accumulato negli ultimi decenni, ma c’è anche l’esigenza di essere coerenti col quadro di norme europee che limita fortemente l’impatto positivo che questi stessi fondi potrebbero, in teoria, generare.
Oltre alle risorse a prestito, l’Italia avrà anche quelle a fondo perduto. Considerando i contributi al bilancio Ue a quanto ammonterà il “dono” che riceveremo?
È difficile calcolare l’importo preciso, perché dipende anche da come le imposte addizionali che verranno introdotte per finanziare questa componente dei fondi colpiranno ciascun Paese dell’Unione – imposte su cui sono, anche in questo caso, necessari ulteriori chiarimenti. Se colpiranno di più gli italiani, allora è chiaro che finanzieremo in misura maggiore la componente a fondo perduto del Recovery fund. Al di là di questo, credo che sia interessante evidenziare un aspetto di queste risorse che riceveremo.
Quale?
Sono quelle che forniscono maggiore trazione ai vincoli europei a cui l’Italia più difficilmente potrà chiedere una deroga, proprio perché è il Paese maggiormente beneficiario.
Insomma, avere più aiuti fa sì che ci sia maggior rigidità anziché flessibilità da parte dell’Europa rispetto ai vincoli di bilancio.
Prendendo questi fondi è chiaro che il potere contrattuale si sposta verso Bruxelles e che per l’Italia sarà più difficile ottenere la flessibilità di cui avrà bisogno sui parametri di finanza pubblica a partire già dal 2022. Occorre quindi utilizzare questi fondi in maniera ottimale.
C’è quindi anche una sorta di condizionalità implicita: nel momento in cui prenderemo questi fondi non avremo margini di flessibilità e dovremo quindi usarli bene e non sperperarli…
Esatto. E su questo tema non abbiamo purtroppo segnali incoraggianti. L’Italia ha bisogno di politiche che aumentino la sua crescita potenziale, mentre nei provvedimenti del Governo vediamo esattamente l’opposto: sussidi a pioggia che spesso poco hanno a che fare con l’esigenza – pienamente legittima e condivisibile – di fornire un piccolo ristoro a chi è stato danneggiato, ma ci allontanano dall’obiettivo principale di medio periodo legato all’aumento del tasso di crescita potenziale del Paese. Quindi, prima ancora di ricevere questi fondi, prima ancora di presentare dei piani formali, già emergono le prime avvisaglie di una sostanziale impreparazione a gestire queste risorse in maniera ottimale. Il rischio è, pertanto, quello di trovarci non solo ad avere a che fare con condizionalità stringenti più o meno esplicite, ma anche di dover constatare una sostanziale impreparazione nel gestire le risorse del Recovery fund in modo ottimale. Le prossime settimane saranno cruciali in tal senso.
(Lorenzo Torrisi)