La festa dell’Epifania è collegata, fin dall’epoca dello splendore delle civiltà del vicino oriente, alla manifestazione di una luce divina che rischiara le tenebre del mondo. La luce di un astro è ricordata anche nella tradizione cristiana che, tuttavia, sposta in modo significativo il senso della celebrazione: è la natura umana – nel cristianesimo – a manifestarsi come luogo della salvezza. L’intervento del divino nella storia non indebolisce o neutralizza l’umano, ma lo rende tempio di un incontro destinato a cambiare coloro che liberamente lo accolgono: il Natale non si consegna agli uomini come una sdolcinata ricorrenza di buoni sentimenti, quanto come una novità metodologica destinata a durare per sempre.
Dopo la notte di Betlemme, Dio non si può più cercare in un’emozione, in un rituale, in un dotto ragionamento, ma solo in un volto che ne diventa definitivo segno.
Per i saggi d’Oriente chiamati Magi, uomini appassionati di moniti celesti e caparbi nella loro sete di salvezza, la scoperta di questo mistero fu talmente travolgente che è scritto che fecero ritorno al loro paese per un’altra strada. Il paese, la terra, nell’accezione allegorica della Bibbia è sempre associato al desiderio: lo stupore per l’incontro con Cristo fu tale che tornarono al proprio desiderio per un’altra strada, iniziarono a desiderare diversamente.
Questo cambiamento del desiderio non è mai esito di uno sforzo ascetico o spirituale, ma dono che accade tutte le volte che siamo messi di fronte ad un’umanità strabordante, eccezionale. Quello che salva un matrimonio, che fa entrare in un dolore, che accompagna nell’ora della morte – o che semplicemente fa stare di fronte a se stessi – è l’umanità di un altro in cui risplende la salvezza e che resuscita in me il desiderio di amare, di dar credito e di sperare.
Anche per questo l’Epifania è una piccola Pasqua: dinnanzi all’umanità di quel bambino risorge il desiderio di vivere, di stare, di non mollare. Nel mondo secolarizzato di questo inizio millennio l’Epifania ha perso il suo mordente: è vista come una conclusione del Natale, una festa minore, anche un po’ malinconica. La situazione che stiamo attraversando, al contrario, rende questo giorno tremendamente necessario: accanto al vaccino per l’epidemia c’è bisogno di un altro vaccino, di qualcosa che ci immunizzi dal virus del nichilismo, dalla perdita del gusto del vivere.
Abbiamo bisogno di tornare a desiderare la vita, abbiamo bisogno di guardare in faccia – senza barare – il vuoto e lo sbigottimento che ci ha sorpreso in questi mesi per veder risorgere il gusto per l’esistenza. Questi mesi di distanza sono stati percepiti dai più come mesi di rifiuto, di abbandono, di solitudine: un’angoscia inconfessabile e collettiva spinge alle reazioni più diverse ed estreme. C’è chi nega, che chi esagera, c’è chi minimizza, c’è chi si ostina a spiegare e a mettere a posto ogni dato, ogni processo, ogni numero. Ma tutti devono fare i conti con questo senso di rottura rispetto al mondo in cui si è sempre vissuto: una rottura che ha segnato i ragazzi, i rapporti, gli amori, le amicizie. C’è gente che non sa se potrà mai incontrare la persona della propria vita perché le occasioni sociali sono drasticamente diminuite, ci sono altri che si riempiono di cibo, di serie tv, di alcool, di giochi online, implementando i tristi cimiteri dell’amore che sono le applicazioni di dating e le percentuali sempre in crescita della vendita di psicofarmaci o di ansiolitici: tutti abbiamo davvero bisogno di un’Epifania, di un umano che ci esploda davanti e ci faccia ritornare la voglia di esserci, di non arrenderci, di ripartire.
I Magi sono i nostri amici in questa avventura: in loro vediamo un desiderio ricostruito che ridesta la nostra fame di bene, di verità, di giustizia. Abbiamo bisogno di non perderli di vista, di frequentarli, di stabilire con loro una familiarità vera. Non stupisce che la Chiesa li chiami “i Santi Magi”, che le loro spoglie mortali siano venerate – secondo la tradizione – a Colonia: tutti cerchiamo amici così, amici con cui ricominciare, con cui riprendere le fila del nostro cammino per trovare, di nuovo e ancora, il tesoro che ci è stato promesso.
E non importa che manchi ancora poco o tanto al finire di questa lunga notte se ciò che si va perdendo fra di noi, sepolto dalle polemiche e dai risentimenti, è il desiderio dell’alba. Cristo viene nel mondo per permetterci di ricominciare: è Lui la stella tanto attesa e tanto sperata, è Lui che trasforma il volto di chi si lascia afferrare dalla Sua tenerezza e che rende il volto di ogni uomo e di ogni donna un segno di sicura speranza. Lui ci ridà la forza di indignarci per le ingiustizie, di parteggiare per i dimenticati e per gli ultimi, di non soffocare la nostra mendicante povertà in un’inutile o apparente ricchezza.
Riponendo nelle scatole le decorazioni natalizie, le luci e i festoni, non ci assalga dunque la malinconia del tempo che passa, ma ci possa sorprendere la gioia di Uno che viene, che è venuto, e che fa guardare i volti cari di sempre col desiderio che per tutti possa accadere una buona Epifania. L’Epifania del desiderio, certamente, ma soprattutto l’Epifania di chi ha visto le stelle e che non vuole più tornare a dormire, ma soltanto ricominciare a salire più in alto, più in profondità. Per vedere e per capire.