“Bisogna evitare le semplificazioni: non tutto il popolo di Trump è violento, non è solo l’America dei pistoleri o degli esaltati. È l’America conservatrice che non si riconosce più in un Partito repubblicano debole, incapace di portare avanti le sue istanze, ma in Trump”. Rita Lofano, corrispondente dell’Agi negli Stati Uniti dal 2008, dove ha seguito quattro elezioni presidenziali, non minimizza né giustifica ciò che è successo a Capitol Hill (“sono state scene terribili, ci sono state quattro vittime”), e avverte: “Non è certo finita qui, dopo una campagna presidenziale molto dura che ha spaccato in due l’America, tanto che si parla anche di spinte secessioniste”. Lo stesso Biden è atteso da un compito delicato: “Non potrà esasperare la Red Nation né scontentare le due anime del Partito Democratico” che lo hanno portato alla Casa Bianca.
Che America rappresentano gli occupanti di Capitol Hill?
Quelli che hanno assaltato il Capitol non sono tutto il popolo di Trump, quella metà d’America uscita sconfitta dalle ultime presidenziali. Rappresentano le frange più estreme e incontrollate, che sono sfuggite di mano allo stesso Trump, il quale a Washington ha tenuto un discorso inopportuno all’interno comunque di una manifestazione politica. Politicamente Trump esce molto danneggiato da quel che è successo, perché sono state scene terribili, ci sono state quattro vittime, è stato preso d’assalto il simbolo della democrazia americana e occidentale. Di certo, in questo caso, non si è capito bene come mai le forze dell’ordine si siano fatte trovare così impreparate. Le proteste erano attese, tanto che la zona attorno alla Casa Bianca era stata tutta transennata, e si sapeva che si sarebbero riversate su Washington decine di migliaia di persone.
Che cosa ha spinto i rivoltosi a questo gesto?
Non è la prima volta che la gente va davanti a Capitol Hill a protestare, anche in modo irruento, sebbene non violento, come durante le audizioni per la conferma a giudice supremo del conservatore Brett Kavanaugh.
Perché questa volta si è arrivati alla violenza? È solo fanatismo?
Un po’ hanno preso alla lettera le parole di Trump, hanno trasformato in azione l’esasperazione per quella che lui definisce un’elezione truccata. Dalle immagini abbiamo visto qualcuno con la maglietta di QAnon, il gruppo di estrema destra molto controverso e cospirazionista. C’erano sicuramente degli esaltati, dei fanatici, ma non solo. Trump è seguito da mezzo paese, ma non tutta la Red America si riconosce in questi assalitori. Diciamo che il gesto è frutto della profonda esasperazione che è stata generata da un’elezione molto divisiva e aspramente contesa.
A Capitol Hill la situazione si è normalizzata, ma in altre città sono divampate nuove proteste. Fin dove si spingeranno i contestatori? Potrebbe nascere un movimento eversivo?
Non penso, anche se in America esistono le milizie, da entrambe le parti. L’estremismo non è la vera novità di questi giorni.
Qual è la novità?
Con il suo discorso Trump ha messo nero su bianco il fatto che il “popolo rosso” non si sente più rappresentato dal Partito repubblicano. Il figlio di Trump, Donald Jr, ha detto chiaramente, salendo sul palco, che c’è un nuovo Partito repubblicano ed è quello di suo padre. E anche all’interno dell’Old Party c’è una cospicua quota di repubblicani che si sente più vicina a Trump che a McConnell o a Pence. C’è un pezzo di America che non trova rappresentanza se non in Trump. E questo rappresenta un problema istituzionale in un paese dove vige il bipolarismo.
Che cosa vedono in Trump questi americani?
Hanno paura di perdere la “loro” America, vogliono difenderne i simboli, si ribellano al politically correct esasperato. Per esempio, in Texas, dove vivo, che è uno Stato profondamente conservatore, grazie a un regime fiscale più favorevole, si stanno spostando molte grandi aziende americane, come Tesla o Apple. Ma i texani non le vogliono, perché arrivano dalla California, considerata troppo liberal. A noi europei può sembrare un dibattito surreale, ma è così.
Il 20 gennaio Trump uscirà di scena? E quest’America in cerca di rappresentanza che cosa farà? Scenderà in piazza ancora più violentemente?
Di sicuro Trump non si metterà da parte, lo ha ribadito lui stesso, e la sua Red Nation continuerà a premere su Biden, visto che raccoglie pur sempre il 50% dell’America, al cui interno ci sono anche le frange protagoniste di quel che abbiamo visto a Capitol Hill. Difficile però dire se ci sarà un’ulteriore esasperazione, speriamo di no. Ma il problema, che è culturale, resta, tanto che lo stesso Trump è dovuto intervenire, a modo suo, per invitare gli assalitori a calmarsi e a tornarsene a casa. E temo che la tensione generata dalla durissima sfida alle presidenziali non finirà con l’insediamento di Biden il prossimo 20 gennaio.
Perché è un problema?
Queste esasperazioni attraversano da sempre l’America. In Michigan, per esempio, milizie armate sono entrate nel Capitol di quello Stato e l’Fbi ha scoperto una trama per rapire e forse uccidere la governatrice, “colpevole” di aver deciso il lockdown.
Allora sarà per Biden un problema di sicurezza interna da gestire con attenzione.
Sì. Per Biden non sarà semplice, Ha sì il controllo della Camera e del Senato, seppur non con grandi numeri, ma è stato eletto con l’appoggio non solo dell’ala più liberal dei Democratici, ma anche dei movimenti di sinistra. Quindi dovrà muoversi con cautela, per non alimentare nuovi disordini, non esasperando, da un lato, la Red Nation e dall’altro dovrà barcamenarsi, senza scontentarle, tra le due anime del Partito Democratico.
Come hanno vissuto gli americani i gravi fatti di Capitol Hill? Che sentimento prevale?
Non c’è un sentimento prevalente. Il gesto violento non è condiviso dalla maggioranza americana. Ma in Texas ci sono molte persone del tutto normali, non certo degli esagitati, che la pensano come Trump, anche se non sempre ne condividono le parole. Però non credo che possano essere attirate da queste frange estreme.
L’America è davvero divisa in due?
È innegabile che ci siano due Americhe e che l’America sia spaccata, sull’orlo di una nuova guerra civile. Addirittura si parla di spinte secessioniste.
(Marco Biscella)