L’anno che si è appena aperto ci presenta gli scenari in profonda continuità con il 2020 e non poteva che essere così, a differenza di una certa modalità di raccontare le cose di qualche anno fa: il 31 dicembre terminava un mondo e il 1 gennaio ne cominciava un altro.
È stato così per molto tempo, ad esempio il 31 dicembre finiva l’anno fiscale e con gennaio si pagavano molte tasse, dal bollo dell’automobile alla tassa per la televisione, dall’incremento delle imposte dirette a molte altre imposizioni che la legge finanziaria decretava nelle convulse giornate di fine d’anno dei due rami del Parlamento. Da tempo non è più così e lo è stato ancora di più in questo passaggio da poco registrato.
La pandemia e ciò che ne consegue ha reso più uguali le cose, riproponendo gli scenari che riguardano il lavoro con situazioni che vanno aggravandosi, complice un’incertezza complessiva che non favorisce la possibilità di intravedere vie d’uscita sia per le vecchie vicende (con la ruggine che aumenta), che con le nuove situazioni di fermo economico e produttivo, a partire dal turismo e dall’accoglienza, passando per la cultura e l’entertainment, il commercio fisso e la mobilità ovvero i trasporti e i vettori utilizzati.
I tavoli aperti al Mise sono sempre oltre 150, alcuni dei quali si trascinano da tempo immemore, senza intravedere possibilità reali di uscita dalle crisi per mancanza di nuovi investitori o comunque con potenziali nuovi imprenditori che sono stati ulteriormente scoraggiati dagli scenari Covid. Arcelor Mittal, Whirlpool, Treofan, Blutec, accanto a molte situazioni di minore entità, in particolare nel settore dell’elettronica e delle confezioni tessili, ma che, sommate, presentano numeri rilevanti di lavoratori in esubero, rappresentano spine nel fianco per i rappresentanti sindacali e del ministero, impegnati a sottoscrivere accordi di proseguimento con gli ammortizzatori sociali, ma spesso scoraggiati nell’intravedere soluzioni stabili con nuovi soggetti imprenditoriali. Poi ogni nome è una storia a sé, ma la costante sembra essere comune: non si intravede la parola fine con soluzioni accettabili ed equilibrate (positive è un termine ormai cancellato!).
Ci sono poi vertenze aperte che non sono mai giunte al tavolo romano, ma che si sommano alle situazioni di crisi; emblematica la vicenda VOSS, stabilimento di un centinaio di persone in Brianza, presidiata da prima di Natale in quanto la proprietà tedesca ha deciso di portarsi il lavoro e i macchinari in patria, dopo aver acquisito la tecnologia e le competenze allocate nell’ufficio studi e sviluppo. Di uguale tenore la ex Italcementi, campione nazionale delle produzioni di materiali per l’edilizia, ceduta a una multinazionale anch’essa tedesca che ha deciso di portarsi in patria il centro di ingegneria e di sviluppo, il cuore dello studio applicativo dei nuovi materiali, spogliando il nostro Paese di competenze e conoscenze.
Ci fermiamo con gli esempi, in quanto il quaderno dei dolori rischierebbe di allungarsi e di molto, ingenerando ulteriormente processi depressivi e pessimistici. Sappiamo che sussistono nel Paese anche esempi virtuosi, di aziende che resistono, che innovano, che innescano processi di collaborazione con università e centri di conoscenza, che si mettono insieme per sviluppare nuovi business e produzioni innovative. Per esempio, l’automotive è una filiera dove si stanno concentrando nuovi approcci e nuove applicazioni, con materiali che presentano caratteristiche di sostenibilità e in linea con le nuove soglie di green deal.
La nascita di Stellantis si pone in questa scia, accanto a inevitabili problemi di sovraccapacità produttiva dovuta alla sovrapposizione di più impianti. Ma le produzioni di nuovi modelli, nelle diverse forme di motorizzazioni ibride, nella spinta verso l’elettrico sostitutivo fanno ben sperare anche per le filiere collegate (elettronica, chimica, nuovi materiali). E la nuova azienda è presente in tutti i segmenti di mercato (vetture di piccola cilindrata, marchi di luxury, veicoli commerciali, suv e altri).
E da questi processi si innescano anche possibili e auspicabili rafforzamenti dei percorsi virtuosi per il riciclo dei materiali usati: ceramiche, vetro, plastica, gomma sono filiere sottoposte a nuovi scenari di investimento e di nuova occupazione, per nuovi sbocchi di riutilizzo, consapevoli che i processi industriali hanno tempi non immediati. Il nostro Paese è antesignano nelle idee e negli sviluppi applicativi, forte di una grande tradizione di studi ed eccellenze competitive: occorre sostenere questi processi che riguardano una parte rilevante di giovani generazioni all’opera.
Ecco perché occorre coesione sociale, ma anche una grande concertazione politica verso traguardi impegnativi ma decisivi; meno ristori inutili e dispersivi e più incentivi selettivi verso attività che abbiano serie prospettive di innescare processi di crescita.
La ripresa post-pandemia non riporterà le cose automaticamente al passato, occorrerà riprendere guidati con nuove mete comuni intorno ai nostri brand naturali; l’Italia è tutta una grande bellezza se sapremo valorizzare i grandi esempi che abbiamo visto nei tempi recenti: Matera, la rinascita di Pompei, il ponte di Genova sono solo alcuni fatti esemplificativi accanto ad altri che possono farci ben sperare. Ulteriore esempio è stata la recente Artigiano in Fiera sostenuta con il web.
Vi è un altro esempio che ci deve far riflettere in questi giorni: la sera del 5 gennaio è stato firmato, in videoconferenza, un Contratto collettivo nazionale di lavoro che riguarda i ventimila addetti delle lavanderie industriali, scaduto dal marzo 2019. Le imprese si dividono tra quelle completamente ferme (turismo, ristorazione) accanto ad altre che operano a pieno ritmo (sanitario e sanificazione degli strumenti per la chirurgia). Un contratto piccolo e povero si direbbe in gergo sindacale, poco più di sessanta euro medie di aumento, ma ricco di nuove regole per il lavoro, per cogliere le opportunità che si presenteranno al termine di questa notte che grava su tutti. E firmare un contratto di questi tempi, durante le feste, con sedute online da parte dei protagonisti della negoziazione, con poche risorse ma con nuovi patti sulla prestazione lavorativa (orario, turni, part time, e molto altro) rappresenta il miglior modo di far intravedere una nuova contaminazione tra capitale e lavoro, una virtuosità di comportamenti collettivi orientati al sostegno delle imprese e del lavoro stesso. E speriamo che il 2021 possa stupirci sul fronte dei rapporti sindacali, con tanti contratti di lavoro in discussione e che possono dare un contributo alla ripartenza del Paese.
Come si vede la realtà è costellata di vicende dagli esiti alterni, è sempre stata così, ma è la virtuosità che occorre far vedere, sono gli esempi perseguiti da uomini e donne che, in epoche diverse e con sensibilità diverse, hanno reso grande il nostro Paese. Anche Peppone e don Camillo erano attorniati dalla miseria e dalla povertà, ma il genio di Giovannino Guareschi non li ha inventati più buoni di come erano, non ha cancellato la realtà, ha fatto vedere nella realtà gli esempi da seguire, accanto al resto che comunque è dato e con cui occorre conviverci. Ed è così anche per noi, in questa Italia del 2021 appena iniziato.