BERLINO – Sabato mattina 1001 delegati della Cdu, il partito dei cristiano-democratici tedeschi, hanno eletto il loro nuovo presidente. I candidati papabili, in questo delicato tempo post-merkeliano, erano essenzialmente due: Armin Laschet, politico di lungo corso e gradito alla cancelliera, e Friedrich Merz, l’antagonista. Ha vinto il primo. Nel dubbio, devono aver pensato i delegati che lo hanno votato, meglio un usato sicuro che un possibile pacco. Il potenziale bidone aveva la faccia del favorito Merz, l’uomo di Blackrock, il manager volitivo amico delle multinazionali, l’unico ad aver osato criticare apertamente il corso di Angela Merkel.
Alla fine, grazie a una manciata di voti, i prudenti delegati hanno detto no a quello che ai loro occhi moderati deve essere parso come avventurismo macchiato da punte di decisionismo machista. Friedrich Merz infatti voleva guidare, comandare, condurre ma soprattutto voleva farla finita con il sistema di potere grazie alla quale Angela Merkel ha regnato indisturbata per tre lustri.
Secondo il professor Thomas Biebricher, insegnante di scienze politiche ed economiche alla Copenhagen Business School, Merz aveva un profilo più netto e rappresentava l’esigenza sentita da molti elettori di una svolta conservativa della politica tedesca. Sotto il cancellierato di Angela Merkel il partito dei cristiano-democratici ha via via abbandonato le sue radici culturali fondate su famiglia tradizionale, piccole imprese, politica nazionale e una certa prudenza verso i migranti provenienti da paesi culturalmente molto diversi, per approdare a un globalismo liberal-finanziario no borders praticamente identico a quello dei socialdemocratici o dei verdi.
Di fatto oggi il conservatorismo della Cdu di Angela Merkel si è svuotato dei suoi contenuti tradizionali e consiste quasi esclusivamente nel navigare a vista, tenere a galla la barca e gestire alla meglio le crisi che si presentano come livelli sempre più difficili di un videogame impazzito. Il tutto senza perdere mai il potere. Una cosa che i nostri politici fanno da sempre in modo sublime ma che non si pensava potesse attecchire a nord delle Alpi. E invece a quanto pare non migrano solo gli uomini ma anche i (cattivi) costumi.
Il capolavoro della Merkel, il Krisenpragmatismus (gestione pragmatica delle crisi) che le ha consentito di rimanere a galla e regnare indisturbata per 16 anni, ha avuto un prezzo: la distruzione di quella infrastruttura intellettuale creata negli anni 70 e 80, fatta di fondazioni, associazioni culturali, chiese e intellettuali conservatori alla Ralf Darendorf che alimentavano costantemente il partito conservatore con le loro idee ispirandone l’agenda politica. La gravità di questa perdita è evidente quando si considera che temi fondamentali come la bioetica, la sostituzione dell’uomo con l’intelligenza artificiale, le migrazioni, la globalizzazione finanziaria che aumenta le diseguaglianze sociali sono trattati come “crisi” da gestire per mantenere il potere e non come temi decisivi sui quali si gioca il destino di una civiltà. Il cinismo del Krisenpragmatismus ha fatto tabula rasa di ogni confronto etico riducendo tutto a calcolo politico.
Tornando ad Armin Laschet, il vincitore di Berlino, di lui si può dire che sia una Merkel meno sovrana, meno influente e certamente molto meno potente. Una Merkel ridotta ma fatto della stessa pasta della cancelliera la quale dal canto suo ha portato la Cdu a diventare il partito dell’establishment e delle oligarchie europee. Laschet è l’uomo di mezzo, quello per cui il risultato migliore è sempre lo zero a zero che accontenta un po’ tutti, un uomo della vecchia Germania Ovest imbevuto di paternalismo, moderazione ad oltranza e capitalismo renano. Il candidato perfetto per continuare nel solco tracciato da Angela Merkel con la certezza che non devierà di un millimetro.
Tuttavia, non è detto che il nuovo segretario, il quale non nasconde ambizioni al cancellierato, sia in grado di replicare il successo di chi lo ha preceduto. Non è detto che sappia destreggiarsi con altrettanto cinismo e sangue freddo in un ambiente tutt’altro che amichevole. Una cosa però sembra certa: l’esigenza per molti elettori della Cdu di una svolta coraggiosa che rompesse con i due decenni di cancellierato Merkel è stata delusa. Con Laschet il partito cristiano-democratico ha detto no a un nuovo inizio. La sua elezione dice molto sul pragmatismo cinico della Cdu e sui problemi legati ad esso: si preferisce evitare di fare delle scelte chiare e magari dolorose, affidandosi a un candidato con i quali bene o male tutti possono convivere nell’attesa del momento giusto per fargli le scarpe. E noi italiani sappiamo bene a cosa a conduce questa “tattica”.