Molti insegnanti, di ogni livello, hanno raccolto la sfida della DAD approfondendo la propria consapevolezza riguardo a quello che insegnano e a come lo insegnano. Questa acuta riflessione su che cosa significhi ascoltare e cosa implichi chiedere agli allievi di ascoltare, si colloca nella linea di tale approfondimento. Le azioni semplici, che compiamo continuamente e spontaneamente, non sono banali: serve porvi attenzione e soffermarsi sulla loro profonda interazione con il rapporto educativo da una parte e col cammino dell’apprendimento dall’altra. Ne può scaturire un sensibile miglioramento delle abituali pratiche didattiche.
Anche questo anno scolastico è caratterizzato dalla didattica a distanza. Pur se le classi di scuola primaria e secondaria di primo grado hanno avuto la possibilità di far lezione in classe, non è stato e non è infrequente che qualche alunno sia costretto a seguire da casa oppure che qualche insegnante debba far lezione da remoto, perché in quarantena.
Mi sentite?
Qualche tempo fa il sito corriere.it in un articolo, tratteggiando i momenti salienti del 2020, citava anche la domanda che quotidianamente gli insegnanti rivolgono ai propri studenti collegati con Meet, con Zoom o con qualche altro software per video call.
A quasi un anno dalla rivoluzione indotta dalla pandemia, possiamo raccogliere alcuni elementi di come l’insegnamento sia stato costretto a modificarsi: ne sono cambiati i tempi e le modalità. La gestione del tempo scuola è stata stravolta, le lezioni sincrone a distanza o asincrone attraverso registrazioni video hanno intensità e ritmi diversi, condizionati da questioni tecniche, quali gli strumenti utilizzati e la qualità della connessione.
Gli insegnanti sono stati costretti a re-inventare le attività didattiche in forme nuove, e, pur nella evidente difficoltà, qualche cosa di buono se ne può trarre. Le condizioni in cui si opera hanno richiesto una maggiore precisione sia nella formulazione delle proposte, sia nella loro comunicazione.
Noi insegnanti ci siamo trovati in una situazione in cui non possiamo monitorare il processo di «situazioni di apprendimento» degli alunni, non possiamo chiedere loro di «fare con noi», non possiamo intervenire immediatamente e puntualmente nei processi, come quando si svolgono sotto i nostri occhi. In particolare, non potendo aggiustare il tiro osservando come gli allievi iniziano a muoversi nella situazione che proponiamo loro, diventa fondamentale progettare le attività in modo più preciso, immaginando a priori dove possano essere gli intoppi, e più articolato e descriverle in modo più chiaro e puntuale.
In un recente dialogo con alcuni insegnanti volto a condividere le esperienze maturate negli ultimi mesi, è stato evidente come la caratteristica di questa fase sia la prevalenza della parola.
La lezione in presenza, specie quando si svolge in modo partecipato, con il contributo degli alunni, è segnata anche da quanto l’insegnante riesce a cogliere e a trasmettere in modo non verbale: la mancata comprensione da parte di qualche studente si capisce prima dallo sguardo che non da una domanda posta, aggrottare le ciglia in una espressione di stupore per un intervento inopportuno è altrettanto se non più efficace che un richiamo verbale. A distanza, nelle lezioni in diretta, la parte non verbale della comunicazione è assente o quanto meno fortemente compromessa, pertanto ci si può affidare solo alla parola e, per quanto si possano proporre note scritte, testi o diapositive, in genere si tratta di parola detta. La domanda «mi sentite?» presenta una pregnanza che va al di là delle difficoltà tecniche di connessione o di capacità percettive; nello sviluppo dell’azione didattica diventa centrale, fondamentale, la fase dell’ascolto. È interessante soffermarsi su questo aspetto, che in condizioni normali rischia di essere dato per scontato o sottovalutato.
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Andrea Gorini
(Insegnante di matematica presso la Scuola Secondaria di I° grado “San Gerolamo Emiliani” di Corbetta (Mi). Presidente dell’Associazione Ma.P.Es.)