Un collega universitario con cui non andavo sempre d’accordo usava ripetere (e ormai sono passati tanti anni) che: “Tutto il mondo sta andando verso l’Italia”; e con questa battuta alquanto cinica egli intendeva dire che certi difetti dello stile italiano, ai quali di solito gli altri paesi dell’Occidente avanzato guardavano (e guardano) con una certa degnazione, stavano contagiando anche i suddetti paesi nonostante il loro considerarsi come superiori.
Mi è venuto da ripensare a quella frase senza pretese politologiche mentre assistevo al congedo mattutino e ovviamente non trionfale dell’ormai ex-presidente degli Stati Uniti, all’aeroporto. Il suo atteggiamento era, una volta tanto, pacato; anche se l’accenno al futuro (“Ritornerò, in una qualche forma”) è suonato un po’ grottesco, con il suo tono messianico-resurrezionale. Ma quello che forse da oggi è venuto a mancare, al di là di ogni differenza ideologica e politica, è qualcosa che meriterebbe la penna di Alexis de Tocqueville, e che comunque richiederà una seria analisi nell’immediato futuro. In due parole: è venuto a mancare, per la prima volta in tante contese elettorali statunitensi, l’elemento della personalità singola e forte.
Nel 2016 questo fattore era ben presente, perché si fronteggiavano due personalità forti: dunque idiosincratiche, dunque discutibili in tanti aspetti, dunque suscitatrici di forti entusiasmi e di altrettanto forti ostilità. Nell’autunno del 2020 questa simmetria è scomparsa. Da un lato c’era la personalità del vincitore nel 2016: più deciso, più idiosincratico e discutibile, più riconoscibile (questa è la parola chiave), in bene o in male, che mai. Di fronte a lui stava un apparatcick ripescato da un comitato elettorale, un politico di anche troppo lungo corso: cioè una figura tipica della politica italiana (ecco in che senso quel mio collega era stato profetico).
Ciò di cui una larga parte del popolo americano ha sentito la mancanza è stata una figura (di uomo o di donna) che desse la sensazione di essere emerso dall’apparato di partito dopo una lotta con l’apparato stesso — la sensazione che questa persona avesse fino a un certo punto piegato un meccanismo impersonale in nome della sua singola e singolare personalità. E’ mancato, in altre parole, quello che si potrebbe chiamare l’effetto-Coriolano, nel senso del protagonista dell’omonima tragedia di William Shakespeare (la sua ultima tragedia, che è anche il suo dramma più foscamente e genialmente politico).
Moltissimi americani hanno tradotto (male) il concetto di “delusione” con il concetto di “tradimento”; è questa è stata una delle cause dell’assalto di Capitol Hill: un’azione da condannare legalmente, moralmente e politicamente. Ma la condanna politica non può prescindere dal tentativo di comprendere come un certo meccanismo politico abbia mal-funzionato in quanto meccanismo politico. E’ questa, in sostanza, la lezione che Niccolò Machiavelli ha insegnato all’Europa; e, salvo errore, noi come commentatori italiani abbiamo perduto l’occasione di ricordare (senza paternalismi, ma come doveroso elemento di riflessione) questa lezione ai nostri confratelli americani.
L’occasione, comunque, si può recuperare. E, a proposito di recuperi: una delle grandi risorse di quella misteriosa entità che sono gli Stati Uniti d’America è la sua capacità, che si potrebbe definire alchemica, di trasformare per il fatto stesso dell’elezione presidenziale la personalità dell’eletto: che entra nel dramma della realtà con un certo carattere, e ne esce quasi irriconoscibile. Ci sono stati momenti, nel suo discorso inaugurale come presidente, in cui l’alquanto pallida figura che aveva doverosamente marciato lungo tutta la campagna elettorale, ha dato il senso di entrare in una metamorfosi, trasformandosi in una personalità autenticamente singola: dunque idiosincratica e controversa; dunque veramente riconoscibile. Non è esagerato dire che i prossimi quattro anni nella vita degli Stati Uniti e non solo dipenderanno dal completamento di questa trasformazione alchemica.