Il caso di Lidia Macchi resta irrisolto: la Cassazione conferma la sentenza di assoluzione per Stefano Binda che così resta definitivamente libero dopo anni di udienze, accuse e aule di tribunale. I giudici della prima sezione penale della Suprema Corte hanno dichiarato inammissibili i ricorsi della Procura Generale di Milano e delle parti civili contro la sentenza d’Appello: «assolto per non aver commesso il fatto» resta dunque confermata la sentenza su Binda, davanti all’ennesima giornata di forte delusione per la famiglia Macchi che pure con la sorella negli scorsi mesi aveva richiesto «noi vogliamo la verità, non per forza Binda ma vogliamo la verità».
È però così nuovamente tutto da rifare per la “verità” circa quel terribile delitto di 34 anni fa: gli ermellini hanno giudicato troppo flebili le prove contro Binda, giudicando inesistenti i legami effettivi con la vittima oltre che un movente mai del tutto reso evidente neanche nella condanna in Primo Grado.
OGGI SENTENZA SU PROCESSO LIDIA MACCHI
Dopo 34 anni dal delitto di Lidia Macchi, avrebbe chiudersi oggi il lungo iter processuale con la sentenza della Corte di Cassazione sull’unico indagato e imputato: Stefano Binda. La giovane ragazza di Varese venne uccisa nel bosco a Cittiglio nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1987 con 29 coltellate e ancora oggi rischia di non avere “pace” su chi sia stato davvero a interrompere così brutalmente la sua giovane esistenza. Dopo la condanna all’ergastolo il 24 aprile 2018, il cold case del Varesotto ha riacceso i “lumi” della cronaca 30 anni dopo l’orrendo delitto: il reperimento di nuovi indizi e testimonianze aveva portato l’ex amico di Lidia, Stefano Binda, davanti alla corte con la condanna in Primo Grado.
Poi però dopo regolare ricorso, la Corte d’Appello di Milano sentenziò l’assoluzione ribaltando il verdetto nel luglio 2019: «Sono innocente. Non ho ucciso Lidia Macchi, non l’ho uccisa», ripeteva in Aula l’imputato e la corte gli diede ragione. Ora si arriva al terzo e ultimo capitolo del processo, “riaperto” dopo il reperimento della “prova regina” (la perizia calligrafica che confermerebbe Stefano come l’autore della lettera ‘In morte di un’amica” consegnata ai genitori di Lidia Macchi il giorno del funerale): se la Cassazione però dovesse rigettare il ricorso del sostituto procuratore generale di Milano Gemma Gualdi, allora il caso rimarrebbe ancora una volta inesorabilmente irrisolto come da 34 anni a questa parte.
PROCESSO LIDIA MACCHI, LA RICHIESTA DEL PG
«Processo d’Appello ingiusto, unidirezionalmente impostato e monocraticamente condotto», così l’ha definita la procuratrice di Milano, sostenuta anche dalla costituzione in parte civile della famiglia di Lidia Macchi. Di contro, oggi il procuratore generale della Cassazione Marco Dall’Olio in Aula ha annunciato la richiesta di assoluzione per Stefano Binda: il pg ha dunque chiesto ai giudici della prima sezione penale della Suprema Corte di Roma di dichiarare inammissibili i ricorsi presentati dalla procura generale di Milano. Nella requisitoria in Aula, il pg ha aggiunto «nessuno rileva contatti tra Binda e la vittima, l’alibi dell’imputato non viene smentito, non corrisponde a quello di Binda il dna rintracciato sul corpo della vittima». Inoltre, il procuratore della Cassazione davanti ai giudici sostiene che l’autore della famosa lettera non per forza possa essere anche l’omicida: «Forse c’’è un indizio che Binda l’abbia scritta, ma – ha concluso il pg – nulla, tranne che una suggestione, ci dice che l’autore della lettera sia l’autore del delitto».