Partiamo da un presupposto: nessuno piange, se un hedge fund perde soldi. Anzi. Qualcuno potrebbe addirittura essere assalito da un’irrefrenabile impulso di schadenfreude, mentre altri – più mistici e meno prosaici – potrebbero addirittura scomodare il karma. Quindi, attenzione a leggere nel caso GameStop elementi qualificanti di una sorta di rivalsa del mercato di base contro chi per anni ha speculato senza vergogna. Semplicemente, il mercato di base non esiste. Si chiama parco buoi, punto. E ha un suo ruolo specifico da sempre negli equilibri di Borsa: comprare il cerino quando ormai è consumato e pagandolo come fosse un lanciafiamme nuovo di zecca.
Ho trattato il tema fin dall’inizio, quando era questione per addetti ai lavori: oggi vedo che il termine short squeeze, fino a ieri identificato dai più come una spremuta ristretta da ordinarsi da Starbucks, viene utilizzato con grande nonchalance per descrivere la presunta vittoria del Davide retail contro il Golia delle grisaglie. Nulla di più sbagliato e mistificante, ancorché molto pop. E cerco di spiegarvi il perché.
Primo, proprio tecnicamente quanto sta accadendo ha tempistiche e modalità inconciliabili con una mossa spontanea, tanto più se organizzata in maniera alternativa su piattaforme come Reddit. Quei flussi sono pre-indirizzati e ancor più pre-incanalati. E non certo da qualche nerd particolarmente sveglio e assiduo telespettatore della Cnbc. Secondo, quando la portavoce della Casa Bianca – come accaduto durante il punto stampa di mercoledì – arriva a confermare all’inviata di Bloomberg che il team presidenziale sta monitorando la situazione di GameStop e il titolo, invece di crollare a 20 dollari per azione (trattandosi di una palese bolla), continua a veleggiare verso quota 350 (dopo aver toccato un massimo intraday di 380 dollari) significa che dietro c’è qualcosa in più della forza idraulica di un meccanismo compensativo fra chiusura forzata degli shorts e aumento esponenzialmente delle opzioni call. Diciamo che è metaforicamente comparso il cartello Non disturbare il manovratore. Seguito dalla seconda indicazione: Disinformazione in progress. Non a caso, Jerome Powell non ha aperto bocca sul tema, celandosi dietro un no comment e arrivando al culmine della disperazione comunicativa di lanciare ai reporter l’osso pieno di ridicola polpa di una frase simile – Non è affatto vero che lo stimolo monetario stia gonfiando le valutazioni degli assets – pur di essere lasciato tranquillo al riguardo. La Sec, poi, nemmeno a dirlo: continua a dormire con un neonato. Chissà cosa le garantisce tanta tranquillità.
Terzo e più importante: cosa sta accadendo dietro le quinte, mentre gli occhi di tutti – dagli addetti ai lavori ai daily traders, quindi all’opinione pubblica composta dal cittadino medio – sono fissi su GameStop? Ad esempio, il fatto che Joe Biden abbia siglato un ordine esecutivo con il quale viene bandito il termine virus cinese riferito al Covid. Come mai questo appeasement verso Pechino? Forse un ramoscello d’ulivo di inizio amministrazione dopo il discorso decisamente tosto di Xi Jinping a Davos? Per due motivi. Contenuti a loro volta in questi due grafici, dai quali si desume quanto segue: in Cina sta sostanziandosi una crisi di liquidità di quelle drastiche. E dovuta proprio alle scelte della Banca centrale, la quale in due giorni ha drenato dal sistema 178 miliardi di yuan netti in open-market operations. Di fatto, prima si gonfia la bolla creditizia, poi la si sgonfia gradualmente per evitare gli eccessi del recente passato.
Stavolta però si è intervenuti con il badile, poiché il grafico mostra appunto come quella mossa abbia spedito i tassi repo overnight cinesi al massimo da quasi sei anni, esattamente dal marzo 2015. Strano, mentre in Cina i banchieri lottano contro la scarsezza di liquidità, a Wall Street un esercito di retailers lancia il suo assalto agli hedge funds proprio in ossequio alla sovrabbondanza di liquidità. Il secondo grafico però mette l’intera questione in prospettiva: stando a calcoli di Société Générale, l’impulso creditizio globale garantito dalle principali Banche centrali attraverso i propri programmi di stimolo avrebbe raggiunto il suo picco. Tradotto, altri sei mesi di liquidità sufficiente e poi o si torna a stampare come ai vecchi tempi o il meccanismo grippa. Per l’ennesima volta dal 2011.
Ecco quindi che, alla luce del ruolo di pivot dell’intero processo da sempre recitato dalla Pboc, il neo presidente Usa decide di firmare un ordine esecutivo tanto a costo zero, quanto simbolicamente importante verso il Dragone. Soprattutto dopo lo sgarbo di fine mandato di Mike Pompeo su Taiwan. Ma la questione vera è un’altra. Nel silenzio generale e con ancora nell’aria l’odore acre dei lacrimogeni sparati – con debito ritardo – nel corso del presunto assalto al Campidoglio, Joe Biden starebbe creando una commissione bipartisan per studiare la riforma della Corte suprema. Tradotto, se non puoi vincere, cambia le regole. Guarda caso, proprio l’accusa che veniva mossa a Donald Trump, quando rifiutava di riconoscere la vittoria all’avversario e invocava riconteggi e blocchi delle proclamazioni da parte delle Corti di giustizia di metà Paese.
A raccontare con dovizia di particolari la mossa è Politico, fonte che definire autorevole in tema di retroscena da Capitol Hill rappresenta un atto assolutamente non contestabile. E chi avrebbe messo, per ora solo ufficiosamente, alla guida dell’organismo di riforma, il buon Joe Biden? L’avvocato che di fatto ha guidato la sua campagna elettorale, Bob Bauer, non solo storico behind-the-scenes operator – come si definisce il ruolo di manovratore occulto negli Usa -, ma anche riconosciuto fautore di una rivoluzione in seno al massimo organismo di giustizia in senso di limitazione temporale del mandato dei suoi membri. Insomma, non una scelta da poco. Anzi, praticamente il corrispettivo di giocare con la Costituzione americana esattamente come si fa con i mattoncini del Lego. Appena poggiate le terga a Pennsylvania Avenue e aver debitamente mostrato alla stampa i cambiamenti apportati al look dello Studio Ovale.
Chissà quali piani ha in mente il buon Joe, alla luce di una fretta simile nello smontare il carattere a vita del ruolo di giudice della Corte Suprema, oggi baluardo conservatore dopo le nomine di Donald Trump. Meglio non chiederselo e continuare a credere alla vendetta dell’uomo comune in atto a Wall Street. Sicuramente la pensa così una delle fustigatrici del malcostume repubblicano nell’era del tycoon, la mitica Speaker della Camera, Nancy Pelosi. La quale, altrimenti, dovrebbe spiegare meglio ai cittadini il contenuto della sua ultima dichiarazione relativa alle detenzioni finanziarie sue e dei suoi congiunti, come previsto dalle norme per la trasparenza in vigore negli Usa per chi ricopre cariche pubbliche. Eccola, in tutto il suo ipocrita splendore come pubblicata in esclusiva da Barrons: nel mese di dicembre (per l’esattezza il 22, forse un regalo di Natale), il marito di Nancy Pelosi, Paul, avrebbe infatti comprato opzioni call su Tesla, Disney e Apple oltre a quote del fondo AllianceBernstein. In totale, circa 2 milioni di dollari di investimento, di cui oltre 1 in opzioni call.
Insomma, pare che la Speaker della Camera oggi non solo abbia un interesse diretto nelle fortuna di titoli facenti capo a Elon Musk e al colosso di Cupertino, ma anche in quella della Disney, la medesima azienda che – in ossequio alla chiusura dei parchi divertimento causa Covid – come regalo di Natale ai dipendenti ha inviato l’ultimo migliaio delle oltre 32.000 lettere di licenziamento spedite nel 2020. Sgradevole, quando ti ergi a difensore della masse contro lo strapotere lobbystico trumpiano, non vi pare? E, soprattutto, quando il tuo ruolo di pubblico rappresentante (ai massimi livelli, oltretutto) potrebbe chiamarti a dirimere controversie e prendere decisioni regolamentari rispetto al mondo su cui tuo marito ha appena investito 2 milioni di dollari e che, casualmente, in questo momento è in pieno subbuglio da azzardo morale proprio per abuso retail dello strumento delle opzioni, come mostra questo grafico.
Sarà per questo che, come annunciava l’Ansa l’altra sera, Joe Biden ha ritenuto importante far sapere che darà vita a una serie di ordini esecutivi sull’equità razziale, uno dei quali porterà alla creazione di una Commissione d’inchiesta sull’operato della polizia e in particolare per fare luce sull’omicidio dell’afro-americano George Floyd? Sarà per tenersi buoni quei galantuomini di Black Lives Matter e la loro paladina oggi vice-presidentessa, magari, mentre la sua Speaker della Camera divide il lussuoso immobile in cui vive con un Gordon Gekko sotto mentite – e progressiste – spoglie?
Attenzione alle cortine fumogene che stanno alzandosi da Wall Street: servono soltanto a farvi distogliere lo sguardo da Washington, dove è davvero in atto una battaglia. Ma di quelle sotterranee e silenziose per il potere. Quello vero.