Caro direttore,
in questi giorni dentro e fuori la scuola si ricomincia a parlare pubblicamente di valutazione. Sta, infatti, per finire il primo quadrimestre del 2020-2021. Per di più, quest’anno, ci sono novità nella scuola primaria: non si usa più il voto numerico, standardizzato, ma il giudizio descrittivo dei risultati dell’alunno nelle singole materie e in educazione civica. Così si riprende la pratica della valutazione senza numero, iniziata quarant’anni prima del 2008-2009, quando la legge Gelmini l’ha interrotta.
Alcuni vedono in questo fatto un regalo inaspettato della pandemia, più precisamente di una sua conseguenza: la scuola a distanza. Altri una forzatura, che sta creando ansie e disagi nelle scuole soprattutto perché imprevista e a tempo quasi scaduto del quadrimestre.
Mi riferisco sia al duplice emendamento al decreto legge n. 104 del 14 agosto 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 126 del 13 ottobre scorso, sia all’Ordinanza Ministeriale pubblicata il 4 dicembre 2020, in sostanza a un mese e mezzo dalla chiusura del primo quadrimestre.
Ecco cosa stabilisce l’Ordinanza: “A decorrere dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione periodica e finale degli apprendimenti è espressa, per ciascuna delle discipline di studio, … attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione”.
In cosa consiste tale giudizio? Nella descrizione dei risultati, dei punti di forza e di debolezza, del cosa e del come l’alunno sta acquisendo conoscenze ed abilità, della distanza dalla meta del suo cammino culturale, educativo e didattico.
I genitori degli alunni sanno di queste novità? Credo di no, soprattutto in questo momento. Che cosa dovrebbero sapere?
Innanzitutto che il giudizio descrittivo, presente nel documento di valutazione o pagella, viene elaborato secondo almeno quattro criteri: autonomia, continuità, tipologia della situazione (nota o inedita) e delle risorse utilizzabili dall’alunno, ed è espresso nei seguenti termini: avanzato, intermedio, base, in via di acquisizione. Che cosa ci sia dentro queste parole viene suggerito dalle Linee guida che accompagnano l’Ordinanza.
Facciamo degli esempi. Matteo Pincopallino, alunno diligente e studioso, d’ora in poi non vedrà scritto sulla sua pagella un voto numerico (otto) in matematica, ma “Livello raggiunto: Intermedio”, espressione sintetica della seguente affermazione: “L’alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in modo discontinuo e non del tutto autonomo”.
Pietro Vattelapesca, che studia ed apprende poco o niente, troverà scritto: “Livello raggiunto: in via di acquisizione”, cioè: “L’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il supporto del docente e di risorse fornite appositamente”.
Quale è il guadagno culturale, educativo e didattico di un simile cambiamento? Al di là delle polemiche e dei commenti eterogenei, bisogna riconoscere che la nuova normativa rimette in discussione la tirannia del numero nella valutazione pedagogica e ripropone la questione del senso del valutare.
Valutare è riconoscere e attribuire valore al cosa e al come l’alunno apprende, quindi è far imparare. Non è dare i numeri, né classificare, né costruire graduatorie all’interno della classe o fuori la scuola. La valutazione non è una gara, ma una proposta e un sostegno al miglioramento, fattore di consapevolezza e, quindi, di responsabilità. La valutazione, in sostanza, è risorsa per promuovere responsabilità e favorire il gusto dell’apprendere.
Questo dovrebbero ricordare i genitori, ben sapendo che il figlio non è mai un numero, ma una persona, mai un oggetto di misurazione, ma un soggetto sempre più autonomo, un attore del processo valutativo. Ovviamente questo non accade meccanicamente, o magicamente, ma nella misura in cui i docenti creano un ambiente di apprendimento caratterizzato dalla qualità dei rapporti, dall’uso intelligente degli strumenti valutativi (prove, rubriche, colloqui) e dal metodo della personalizzazione.
Avviene, per esempio, se gli insegnanti e i genitori aiutano l’alunno a diventare protagonista capace di imparare anche dagli errori e di gestire sempre più le difficoltà. Questo succede più facilmente se gli adulti promuovono autovalutazione, se il clima in classe non è quello della competizione selvaggia, ma quello della collaborazione. Infatti, in quanto atto educativo, la valutazione è sempre questione di unità, di cooperazione e di solidarietà, di dialogo.
Il giudizio descrittivo degli obiettivi di apprendimento è espressione e strumento di questo modo di insegnare e valutare. Valeva la pena, dunque, a mio parere, abolire il voto numerico. Esso, infatti, soprattutto nella scuola del primo ciclo, è inadeguato, equivoco ed insidioso perché pone nel percorso educativo e didattico più problemi di quanto ne potrebbe risolvere, per esempio, nascondendo l’errore, trascurando la consapevolezza e l’autovalutazione del cosa e come il bambino impara. A differenza del giudizio descrittivo, che, invece, accompagna ed aiuta l’alunno ad imparare un metodo, rendendo trasparente e, quindi, più efficace, il percorso valutativo.
Ad un genitore allora suggerirei innanzitutto di partecipare all’operazione “valutazione” restando sempre “genitore”, cioè adulto che guarda alla totalità, alla storia, al destino di colui che ha messo al mondo. In secondo luogo di contribuire alla motivazione intrinseca del figlio andando oltre il premio, il rimprovero, il castigo, dialogando con lui e con gli insegnanti sul cammino compiuto e da compiere. In terzo luogo lo inviterei a cogliere tutte le informazioni, implicite ed esplicite, che il giudizio descrittivo contiene, favorendone un’adeguata interpretazione da parte del bambino.