Alcuni dati, tra i tanti disponibili, possono aiutare a comprendere lo stato comatoso delle nostre politiche economiche e le difficoltà che dovremo affrontare per traghettare il Paese fuori dalla drammatica crisi sanitaria ed economica che sta attraversando.
Dalle informazioni disponibili presso l’Ufficio per il programma di Governo, relative alla concreta attuazione dei dispositivi legislativi approvati dal Parlamento sulla base dei decreti e delle proposte avanzate dai due governi guidati dal Presidente del Consiglio Conte, si apprende che solo 372 provvedimenti attuativi sui 919 previsti, per la maggior parte tramite ulteriori decreti ministeriali e interministeriali, sono stati formalmente emanati (circa il 40% del totale). Nel contempo 152 adempimenti sono scaduti per la mancata attuazione nelle scadenze temporalmente previste. Il bilancio per le leggi approvate nel corso della pandemia Covid, dal primo decreto “Cura Italia” del marzo 2020 fino alla Legge di bilancio 2021 recentemente varata, è ulteriormente peggiorato. Il numero dei provvedimenti messi in campo si riduce al 29% dei 504 originariamente previsti; circa 60 quelli scaduti.
Un’analisi dettagliata evidenzia come la percentuale di attuazione risulti particolarmente elevata per i dispositivi finalizzati a sostenere il reddito delle persone, e molto ridotta per quelli finalizzati a stimolare gli investimenti, l’occupazione e l’acquisto di beni e di servizi. Particolarmente negativo il dato riguardante il D.L. 76/2020, meglio conosciuto come “decreto Semplificazioni”, varato per la finalità di accelerare gli investimenti nelle infrastrutture: solo 3 i provvedimenti messi in campo sui 37 previsti dal dispositivo legislativo.
Una recente indagine prodotta dall’Inapp (Istituto nazionale per la valutazione delle politiche pubbliche) mette in evidenza che il 39% della popolazione adulta in età tra i 25 e i 65 anni, circa 13 milioni di persone, è in possesso di un titolo di studio non superiore alla terza media (il 20% della popolazione adulta europea in questi condizioni). E che il 59% delle persone attualmente occupate sia fortemente esposto al rischio di obsolescenza professionale per via dei cambiamenti tecnologici in corso, e per la scarsità di competenze digitali. Queste ultime, sulla base dell’indagine periodica Excelsior per la stima delle nuove assunzioni effettuata dal ministero del Lavoro con le Camere di commercio, motivano la difficile reperibilità per il 33% dei profili richiesti dalle imprese.
Dalla capacità della Pubblica amministrazione di gestire in modo efficiente le risorse messe a disposizione con il programma Next Generation Eu e dal complesso dei fondi europei, oltre 300 miliardi di euro due terzi dei quali da impegnare entro il 2025, dipenderà una parte significativa della nostra ripresa economica. Per comprendere la portata dell’impegno, parliamo di volumi di spesa quattro volte superiori a quella effettivamente promossa per la voce investimenti dalle amministrazioni pubbliche nella media degli anni recenti.
Nel sistema produttivo, e nelle organizzazioni del lavoro, sono attese trasformazioni che richiederanno l’adeguamento delle competenze e la riconversione professionale di milioni di lavoratori e un fabbisogno di mobilitazione di attori istituzionali e privati per queste finalità che non ha precedenti.
Nell’ultima legislatura, nella sostanziale continuità delle politiche economiche promosse dai due governi guidati da Giuseppe Conte con il sostegno di maggioranze parlamentari di diverso colore, gli indicatori del degrado della qualità delle politiche sono aumentati in modo esponenziale. La gran parte delle risorse reperite con l’aumento del deficit di bilancio e’stata utilizzata per ampliare la spesa corrente a discapito di quella per gli investimenti, con il risultato di deprimere ulteriormente i tassi di crescita economica, praticamente azzerati ancor prima dell’avvento della pandemia. Gli ambiti dell’intervento dello Stato nell’intermediazione e nella gestione delle risorse sono stati ampliati a dismisura, per distribuire bonus all’universo mondo ben oltre il limite della ragionevolezza, tramite un’amministrazione priva della capacità di verificare i requisiti di accesso dei beneficiari e di monitorare i risultati. Il tutto con l’ausilio di una comunicazione istituzionale spregiudicata rivolta a spacciare come risultati acquisiti molti provvedimenti rimasti sulla carta.
La possibilità di ricostruire un percorso credibile per favorire la ripresa economica e per gestire in modo appropriato le risorse messe a disposizione dall’Ue, dipende essenzialmente da tre condizioni.
Innanzitutto dalla capacità di costruire una governance adeguata per la gestione di queste risorse europee, tenendo conto che per tale scopo dovranno essere assunti impegni per il prossimo decennio vincolanti per tutte le istituzioni centrali e locali che saranno in chiamate a concorrere al raggiungimento dei risultati. Il tema della semplificazione delle procedure, per accelerare i tempi di attuazione dei programmi non dipenderà da nuovi decreti, ma dalla capacità di coinvolgere nei processi decisionali, e con modalità prestabilite, le varie competenze istituzionali, indifferentemente dal colore delle coalizioni politiche chiamate temporalmente a gestirle. Una condizione indispensabile anche per offrire certezze agli investitori privati.
La seconda condizione è rappresentata dalla necessità di concentrare progressivamente le risorse disponibili sui nuovi investimenti, e sulle risorse umane competenti, che possono svolgere un ruolo trainante nell’economia. I costi sociali di una politica arroccata sulla difesa dell’esistente, sull’allargamento del debito pubblico per far fronte ai fabbisogni assistenziali e per offrire garanzie per i crediti inesigibili delle imprese, sono di gran lunga superiori a quelli necessari a stimolare una mobilità degli investimenti e dei lavoratori.
Per ottenere questi scopi serve una straordinaria mobilitazione di intelligenze, di competenze e di energie individuali e collettive. A partire dalla politica e dalla manifesta evidenza dell’inadeguatezza della attuale classe dirigente, e della necessità di mettere in campo un nuovo esecutivo con figure di alto profilo istituzionale, professionale e politico.
Affinché questo salto di qualità possa avvenire, mettendo fine a un’insana competizione politica basata su promesse inattuabili e sullo spreco di risorse pubbliche, è necessaria una presa di consapevolezza della non autosufficienza delle attuali coalizioni politiche nel guidare un cambiamento di questa portata. E che certamente non può scaturire dalla ricerca di improvvisati volonterosi, da una gestione dei equilibri interni al nuovo esecutivo basata su una distribuzione degli incarichi per gestire le nuove risorse in modo autoreferenziale, sull’azzardo di nuove elezioni destinate a riprodurre lo stesso schema a parti invertite.