Musica liquida, download, streaming, dischi che non solo non si vendono più, ma non si fabbricano nemmeno. Tanto le giovani generazioni non li comprano, si accontentano di ascoltarli sulle varie piattaforme digitali, che come un vortice li inghiottono uno dopo l’altro. Ne avevamo parlato un paio di anni fa, di come la grande avventura della musica popolare fosse finita e anche male.
Tutto, in campo musicale, viene definito in base ad algoritmi che decidono cosa e chi si deve ascoltare. Avevamo scritto, ad esempio: “Una volta sulla copertina di Time ci finivano Thelonius Monk, James Taylor, The Band. Gli articoli erano subordinati al valore dell’artista e di quello che faceva. Oggi si pubblica in base a metriche del settore (posizione in classifica e vendite di biglietti per i concerti), sono queste cose alla base di “notizie” musicali. Nell’era dei clic misurati, il gruppo di marketing ha istituzionalizzato la camera dell’eco della musica pop, bloccando e scoraggiando l’impegno significativo verso la musica come forma d’arte”.
L’elemento catalizzatore di questo “nuovo mondo” è Spotify, la piattaforma digitale più potente al mondo, con milioni di brani ascoltabili di ogni genere. A parte che pagano percentuali bassissime agli autori e agli artisti (roba che ci vogliono milioni di click su un brano per portare a casa poche migliaia di dollari), l’ascolto poi viene deciso “a tavolino” con playlist e ascolti random decisi da chi dirige Spotify e ha interesse a promuovere certi artisti e non altri.
Ma c’è un aspetto ulteriore, denunciato dal sito consequenceofsound.net in un articolo a firma Wren Graves che fa inorridire. Terrorizza, ci dice di un mondo che pensavamo fantascientifico ma che sta prendendo piede ormai in ogni settore del mondo economico. Scoprirlo anche in quello della musica abbassa il livello di depressione causato dal Covid a sotto zero. In sostanza, Spotify si è assicurato un brevetto che permette di monitorare cosa dicono gli utenti, per conoscere “lo stato emotivo, il sesso, l’età, e il modo come parli”. Lo scopo? Capire i gusti della gente e quindi preparare apposite playlist di successo. Il perfetto Grande Fratello di orwelliana memoria.
“Se ascolti Spotify , presto Spotify potrebbe ascoltarti. Tramite Music Business Worldwide , la piattaforma di streaming ha ottenuto un brevetto per monitorare il rumore di fondo e il parlato dei suoi utenti. Il grande cerchio verde ha depositato per la prima volta un brevetto per il suo prodotto “Identificazione degli attributi di gusto da un segnale audio” nel febbraio del 2018 e infine ha ricevuto l’approvazione il 12 gennaio 2021. L’obiettivo è misurare lo “stato emotivo, il sesso, l’età dell’ascoltatore, o l’accento “, per consigliare nuova musica”.
Giudicato troppo impegnativo e noioso condurre dei normali sondaggi sul gusto, Spotify ha pensato bene che “Ciò che è necessario è un approccio completamente diverso alla raccolta degli attributi di gusto di un utente, in particolare ne ha pensato uno che sia radicato nella tecnologia in modo che l’attività umana sopra descritta è almeno parzialmente eliminata ed eseguita in modo più efficiente.” Eliminare l’attività umana. Incredibile ma vero.
Spotify vuole tenere sotto controllo “intonazione, stress, ritmo e simili unità di discorso” per sapere se ti senti “felice, arrabbiato, triste o neutrale“. La tecnologia monitorerà anche i metadati ambientali, utilizzando “i suoni dei veicoli in strada, altre persone che parlano, il cinguettio degli uccelli, il rumore delle stampanti e così via” per personalizzare ulteriormente i loro consigli. Perché chi vuole riflettere su se stesso e sul tuo stato emotivo quando una società senz’anima può farlo per te?
Naturalmente il “genere” sessuale è importantissimo: sarebbe terribile ascoltare buona musica se una piattaforma di streaming pensasse che sia destinata a qualcuno con un’identità di genere diversa. Spotify tramite un suo rappresentante ufficiale ha candidamente ammesso di voler agire come un Grande Fratello: “Spotify ha depositato domande di brevetto per centinaia di invenzioni e noi presentiamo regolarmente nuove domande. Alcuni di questi brevetti diventano parte di prodotti futuri, mentre altri no. La nostra ambizione è creare la migliore esperienza audio in circolazione, ma al momento non abbiamo notizie da condividere”.
La piattaforma ha anche offerto di aumentare il posizionamento degli algoritmi degli artisti in cambio di royalty ridotte. In risposta a queste e ad altre politiche, il sindacato Musician Workers Union ha lanciato una campagna “Justice at Spotify” chiedendo un centesimo (!) per streaming. A tanto siamo ridotti. L’orrore. Certo, le persone adulte che hanno una conoscenza basica e dei gusti precisi continueranno a scegliere le playlist che vogliono loro e farsene di proprio gusto, ma i ragazzi che si affacciano in un mondo sconosciuto fatto di milioni di offerte pensando di ascoltare “gli idoli” del momento? Non sanno che vanno incontro a una manipolazione cerebrale dei loro gusti.
Come dicevamo in quell’articolo di due anni fa, “quelli di noi che hanno conosciuto persone che ci hanno dimostrato che la musica fosse un bene per il cervello e il cuore, sono stati davvero fortunati”. Le prossime generazioni stanno entrando in un futuro degno di Matrix.