Nonostante il “blocco” dei licenziamenti l’Istat ci dice che a dicembre 2020 sono tornati a calare gli occupati e si registra, altresì, un incremento dei disoccupati e degli inattivi. Si evidenzia così una diminuzione dell’occupazione (-0,4% rispetto a novembre, pari a -101mila unità) che coinvolge soprattutto le donne, i lavoratori, sia dipendenti sia autonomi, e caratterizza tutte le classi d’età, con l’unica eccezione degli over 50.
In questo quadro, a prescindere da chi sarà alla guida dell’esecutivo e la sua natura alla fine di una surreale crisi, si dovrà, nelle prossime settimane, ragionare su come rilanciare le, molto citate e poco conosciute, politiche attive del lavoro. Una buona ipotesi di lavoro da cui partire potrebbe essere quella lanciata a dicembre dalle amministrazioni regionali.
Nello specifico si proponeva un piano nazionale straordinario di politiche attive per il lavoro con una governance Stato-Regioni in una cornice unitaria per assicurare universalità di prestazioni con un forte ruolo dei territori.
L’idea di un Piano straordinario nasceva dall’esigenza di definire linee di indirizzo e azioni di sistema in una cornice unitaria, attraverso adeguati e ulteriori finanziamenti, con la progettazione di cluster di utenti che risponda anche a priorità trasversali quali donne, giovani, disabili e soggetti svantaggiati, in particolare quelli che sono, strutturalmente, più distanti, per problematiche sociali ed economiche, dal mercato del lavoro e che hanno difficoltà ad accedere, ad esempio, a sistemi on line (si pensi al complesso tema del digital divide e dell’alfabetizzazione digitale).
Si evidenziavano, allo stesso tempo, alcune priorità trasversali e strutturali quali la necessità dell’implementazione dei sistemi informativi, una maggiore digitalizzazione dei servizi per il lavoro per aumentarne l’accessibilità, lo sviluppo di servizi aggiuntivi, come la certificazione delle competenze e l’orientamento e accompagnamento ai servizi di natura sociale.
Si scommetteva poi sulla valorizzazione del ruolo dei Centri per l’impiego in un’ottica di rete anche con altri soggetti pubblici e/o privati e l’implementazione e la messa a sistema degli Osservatori del mercato del lavoro regionali dove non ancora presenti. Le regioni sottolineavano, inoltre, una volontà di affrontare le criticità che sono emerse con riferimento all’assegno di ricollocazione ed al reddito di cittadinanza.
Per fare tutto ciò si auspicava un Piano pluriennale capace di coniugare interventi immediati e strategie necessariamente di medio-lungo termine e che veda un periodico, e necessario, coinvolgimento delle parti sociali.
L’analisi di contesto sembra, insomma, esserci, il percorso da delineare pure e non sembrano mancare, anche grazie al Recovery fund, le risorse. Oggi è arrivato però il tempo che le buone intenzioni, partendo anche da valide pratiche già consolidate negli anni, diventino progetti concreti, operativi e implementabili per rilanciare il lavoro e l’economia del nostro Paese. È questa, finiti i tavoli programmatici (?) di queste ore, la grande sfida del nuovo, quale che sia, Governo chiamato a portare il nostro paese fuori dal tunnel del Covid.