La crisi di governo che l’Italia sta vivendo – l’Italia, cioè il Paese che ha un’amplissima esperienza in materia – presenta molti elementi anomali che, tuttavia, tanto anomali non sono. E non lo sono per un motivo relativamente semplice da comprendere, anche per i non “tecnici”: non esiste infatti una norma da cui uscire, non c’è una “anomalia” visto che in Costituzione nessun “protocollo” è previsto che determini le regole relative alla gestione di tali crisi. I padri costituenti, infatti, tutto si immaginavano tranne quello che poi, negli anni della prima e in quelli della seconda repubblica, è sistematicamente accaduto.
La Costituzione prefigurava e normava un tipo di crisi di governo interamente in capo al Parlamento, che presenta la mozione di sfiducia, la vota e, se tale mozione ottiene la maggioranza (semplice, cioè la maggioranza di presenti) dei voti, il Presidente del Consiglio deve rimettere il mandato.
Tutto è successo nel nostro Paese tranne che questo procedimento previsto dalla Costituzione.
In sua vece, i passi che vanno dalla presentazione delle dimissioni alla nomina del nuovo governo sono stati determinati da “prassi”: le consultazioni, il mandato esplorativo, la parlamentarizzazione delle crisi – per ovviare a scelte interne al Governo determinate dalle crisi interne alla coalizione – i preincarichi, gli incarichi finalizzati alla ricerca di accordi di maggioranza, ecc. Le prassi generano altre prassi, talvolta, oppure si modificano senza che vi sia possibilità di valutazione. Quello che succede non lo si comprende grazie a regole precostituite ma ex post, dopo che le cose sono successe: niente di costituzionale, niente di costituito.
Vi è però un cardine in tutto questo alternarsi di prassi e di consuetudini costituzionali, ed è la figura del Presidente della Repubblica. La Costituzione gli affida i due poteri fondamentali che stanno a capo e alla conclusione del processo di formazione dei governi: la nomina del Presidente del Consiglio (la fine del gioco) e lo scioglimento delle Camere, il potere forse più discusso tra quelli elencati in Costituzione, il potere di natura “duale”, nell’esercizio del quale il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio sono affiancati, si muovono in accordo ma, va detto, con una dominanza del primo sul secondo.
È il Presidente della Repubblica che “valuta” come si esce da una crisi di governo. Che cosa valuta? Difficile codificare questo tipo di valutazione. Essa comporta, essenzialmente, un vincolo a non esercitare tale potere, estremo nelle sue conseguenze – se sussiste la possibilità che, a fronte al fallimento di una certa maggioranza, una nuova maggioranza si formi e prenda il posto della vecchia. Se questa condizione non si dà, se dopo un numero imprecisato di tentativi non si trova chi possa sostenere un nuovo governo, le elezioni sono la via di uscita.
Di quanto margine di valutazione dispone il Presidente? Quello che si è visto in questi anni (ma tipicamente nei momenti di crisi istituzionale grave, a partire da Tangentopoli, dal “Parlamento degli indagati” ecc.) è che le crisi hanno fatto crescere proporzionalmente alla loro gravità i poteri di scelta dei presidenti della Repubblica fino a consentire loro di “scegliere” nuovi potenziali capi di governo anche al di fuori delle indicazioni dei partiti o cogliendo dalle stesse indicazioni elementi solo suggeriti, ed esercitando quindi proprie opzioni “politiche” sulla base di proprie valutazioni del contesto istituzionale, economico, internazionale.
Salus reipublicae suprema lex. Chi potrebbe obiettare a tale basilare principio? Chi non si sente rassicurato per l’esistenza di questa Grundnorm (per dirla con Kelsen) o per questo “custode ultimo della Costituzione” (per dirla con Carl Schmitt)?
Siamo in una situazione sanitaria, economica e sociale di estrema gravità, in un contesto europeo che richiede decisioni altamente tecniche e qualitativamente affidabili. L’emergenza sta imponendo al Paese scelte drammatiche senza che vi sia una “bussola” costituzionale di riferimento (che forse andrebbe pensata e codificata). Se emergenza deve essere, che emergenza sia. Purché – come ha ripetuto più volte la nostra Corte Costituzionale – le scelte dettate dall’emergenza siano scelte con un termine, scelte che lascino vedere – a vista – il ritorno alla normalità.
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