Intervistato da “Stanze Vaticane” su Tg Com24, Monsignor Massimo Camisasca – Vescovo di Reggio Emilia – ha ‘riletto’ le parole dell’Angelus ieri di Papa Francesco offrendo però anche uno “sguardo” critico sull’intera situazione attuale che il nostro Paese sta affrontando. «Serve una nuova primavera di bambini, il crollo demografico preoccupa: tutti siamo preoccupati in realtà, fra decenni saremo un popolo che sparirà e serve affrontare il tutto con politiche di sostegno alla natalità, ma non basta. Occorre fare rinascere la speranza dentro le persone: non si fanno figli perché non si vede un futuro possibile per le persone, questa è la ragione più grave dell’inverno che stiamo vivendo», spiega il vescovo già Presidente della Fraternità San Carlo Borromeo.
A domanda diretta sul ruolo e simbolo che il Papa ancora oggi rappresenta, pur in una società secolarizzata e meno religiosa, Mons. Camisasca riflette «Negli ultimi papati abbiamo raggiunto una consapevolezza sempre più mondiale del ruolo del Papa: il Santo Padre si pone in un mondo globalizzato che però non vuol dire affatto unito. Prosperano guerre, antagonismi e disparità ricchezze: c’è crescita economica magari ma non c’è uguaglianza e fratellanza».
LA CRISI E IL COVID
Per il vescovo di Reggio Emilia la situazione religiosa, politica e sociale non si possono scindere del tutto: «Unità della Chiesa, unità della società ma anche unità della politica: con le consultazioni di Mario Draghi gli auguro il successo della difficile operazione. Serve grande disponibilità alla conversione delle idee da parte dei partiti: la gravità del Paese spero che metta ciascuno nella consapevolezza che oggi bisogna lavorare assieme». «Non facciamoci mangiare dal verme della tristezza», spiegava Papa Francesco in un’omelia di pochi giorni fa, e Monsignor Camisasca ricalca «come diceva Nietzsche, la testimonianza peggiore per un cristiano è l’essere triste. Questo è il cuore della crisi di vocazione e della scelta di vita religiosa: se la persona non è lieta perché alla radice della sua vita c’è un incontro meraviglioso che la spinge nel mondo per testimoniare quell’incontro, allora che ci sta a fare la vita religiosa? Non mi preoccupano i numeri delle vocazioni ma la qualità di esse: devono nascere dalla scoperta stupenda che è il rapporto nuziale del Signore».
Nella parte finale dell’intervista interessante il passaggio in cui Camisasca espone tutti i dubbi per il tentativo – lodevole come principio – di rendere sempre più “virale” la fede cattolica attraverso piattaforme ed eventi che possano “sostituire” la vita in presenza per ora non consentita dalla pandemia: «Viralizzare la fede come visto durante la pandemia è un’occasione ma anche un rischio: noi non possiamo vivere la vita cristiana “a distanza” o davanti ad un televisore, in realtà la liturgia esige la comunità e la presenza». Il prelato riconosce ovviamente come le attenzioni debbano rimanere ma questo è un momento provvisorio e non può essere definitivo, «dobbiamo tornare completamente alla vita cristiana in presenza. La Chiesa è una comunità che vive nella storia ma che veicola qualcosa che nasce oltre la Storia: serve il visibile e l’invisibile nel cristianesimo, altrimenti si scade in individualismo o materialismo». In merito al primo weekend di Italia praticamente “tutta” gialla, Camisasca conclude «Assembramenti senza mascherina? Io sinceramente ne vedo pochissimi a Reggio Emilia che non rispettano le regole: c’è un grande desiderio delle persone di poter uscire e ritrovarsi, questo desiderio non deve essere ucciso ma solo regolamentato. Io sono pieno di speranza perché il popolo italiano ha dimostrato grande saggezza, sofferenza e sacrificio: ora serve una lenta ma saggia ripresa».