C’era una volta uno scrittore famoso per i suoi noir ambientati nella Milano del boom, negli anni Cinquanta e Sessanta, quelli del miracolo economico: ed erano racconti e romanzi secchi, senza fronzoli, durissimi, dai titoli eloquenti come I milanesi ammazzano al sabato (perché, ovviamente, nell’operosa città lombarda dal lunedì al venerdì si lavora e si produce senza pensare ad altro). Quello scrittore, Giorgio Scerbanenco, nato nel 1911 a Kiev, naturalizzato italiano, giunto in Italia a 16 anni, è universalmente riconosciuto come il padre del noir (cosa ben diversa dal giallo) nel nostro Paese. Ma prima di approdare al noir, Scerbanenco, arrivato giovanissimo al giornalismo e al lavoro editoriale, aveva scritto migliaia di pagine di racconti rosa, all’epoca molto richiesti per i periodici femminili, e aveva quindi già ottimamente familiarizzato con la “cassetta degli attrezzi” dello scrittore.
Scerbanenco morì nel 1969, consacrato, poco prima, nel 1968, dall’assegnazione del Grand prix de littérature policière; e, nei decenni, è stato sempre più rivalutato: non solo uno scrittore di genere, ma un autore dalla produzione ricca e diversificata, dalla cui lezione abbiamo ancora molto da apprendere. Oggi, La nave di Teseo ristampa i romanzi del debutto letterario di Scerbanenco, dall’inquietante Luna di miele a L’isola degli idealisti, romanzo dalle atmosfere sospese scritto a Iseo durante i mesi da sfollato. L’ultima uscita, La valle dei banditi, è un romanzo ambientato negli Usa, a Forte Rand, uno sperduto villaggio sorto in mezzo al deserto, dove vive una comunità di eredi di pionieri e insieme setta che pratica uno strano culto millenarista. Questo è il teatro dell’indagine di Arthur Jelling, figura di detective alternativa rispetto al protagonista delle storie ambientate in Italia, Duca Lamberti.
A Forte Rand vivono poche famiglie, legate da un inestricabile groviglio di rapporti di parentela e dipendenza; ogni decisione importante viene presa dal consiglio dei capifamiglia. Un giorno, la moglie di uno degli abitanti, Anthony Ross, scompare; l’uomo viene legalmente prosciolto da ogni accusa di uxoricidio; ma un conto è la legge, altro sono le draconiane regole di Fort Rand: la comunità, infatti, considera da subito Ross colpevole, e intima al disgraziato di andarsene al più presto dal villaggio, altrimenti rischierà la vita.
Terrorizzato, Ross se ne va via, lasciando a Forte Rand soltanto la nuda terra, su cui continua a pagare regolarmente le tasse. Molti anni dopo, il figlio di Anthony, Raffe Ross, insieme alla sua avvenente moglie Bella Gaarend, si trasferisce sulla terra del padre, con l’intento di far rinascere il ranch che il genitore aveva dismesso. Purtroppo, le cose non sono semplici perché su Raffe pende ancora l’ostracismo decretato contro il padre. Minacce, prima velate, poi esplicite, e poi violazioni della proprietà privata e piccoli atti di vandalismo: Raffe Ross crede, all’inizio, che sia sufficiente difendere la sua proprietà con una recinzione e con quattro cani da guardia ferocissimi. Si sbaglia. Ben presto gli viene comunicato che il consiglio delle famiglie si è riunito e l’ha condannato a morte, se non lascerà Forte Rand entro il 26 maggio. L’incarico di uccidere Ross è stato affidato a uno dei rappresentanti delle famiglie nel ristretto consiglio cittadino; a chi, però, non è dato sapere, e, vista la complessa procedura con cui si procede alla scelta, che viene effettuata con un’estrazione, molto probabilmente solo il prescelto ne è a conoscenza.
I nervi di Bella, la moglie di Ross, sono troppo fragili per reggere in quel posto isolato e selvaggio: la donna inizia a persuadersi che, come il padre di Ross ha ucciso la sua prima moglie – fatto che ella dà come sicuro, ormai – così anche lei rischia di essere uccisa dal marito, sempre più nervoso e provato dal clima che si è instaurato intorno al suo ranch; e questa convinzione la porta a rifugiarsi proprio a casa del più influente cittadino di Forte Rand, che alimenta le sue paure. In città – se così si può chiamare un pugno di case perso nel deserto – arriva quindi Arthur Jelling, poliziotto intuitivo e sagace. Ma nemmeno Jelling può molto contro un intero villaggio coalizzato, con quella pervicacia che sa di follia, contro una sola persona, e, soprattutto, nulla può contro una mente metodica, precisa e matematica. E a nulla varrà sapere che la prima moglie di Anthony Ross non sia stata assassinata, ma, una volta lasciato il marito, molti anni prima, sia stata travolta da un tram e così sia morta.
Il titolo de La valle dei banditi gioca sull’ambiguità del termine “banditi”: non soltanto “fuorilegge”, ma anche “banditi” nel senso di “ostracizzati”, “reietti” della società: ne viene una storia che mescola lo spirito selvaggio dell’epoca dei pionieri con il classico giallo a enigma, ambientato però non nelle nebbie inglesi, come siamo soliti immaginarci, ma sotto il sole del deserto americano.
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