Nelle previsioni economiche invernali diffuse ieri, la Commissione europea stima una crescita del Pil italiano del 3,4% per quest’anno e del 3,5% per il prossimo. Si tratta di numeri inferiori a quelli diffusi l’anno scorso sia da Bruxelles (+4,1% nel 2021) che dal Governo uscente (+6%), in linea però con quelli più recenti della Banca d’Italia (+3,5%). Tuttavia, viene specificato da Bruxelles, le stime non includono l’impatto del Next Generation Eu, che, ha spiegato il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni, potrebbe portare a un ulteriore rialzo del Pil del 3-3,5% nell’arco di sei anni. Per Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, le previsioni della Commissione rappresentano un buon punto di partenza per il nuovo Governo. «La prospettiva per Draghi appare migliore di quello che si poteva sperare, anche perché queste stime non incorporano l’effetto positivo che può avere il nuovo esecutivo sull’economia».
In che modo il nuovo esecutivo può impattare positivamente sul Pil?
Potrebbe far partire alcuni investimenti bloccati tramite procedure di tipo commissariale o analoghe oppure accelerando il rilascio di permessi pubblici. Non bisogna dimenticare che il lavoro a distanza non ha giovato da questo punto di vista, creando ritardi autorizzativi per quel che riguarda l’edilizia sia pubblica che privata. Il nuovo Governo potrebbe favorire un importante sveltimento burocratico e anche una rapida attuazione del piano vaccinale, che possono avere positive ricadute economiche.
È anche vero però che le previsioni di Bruxelles fissano di fatto anche una sorta di risultato minimo che dovrà essere raggiunto.
Certo. E da questo punto di vista c’è anche da dire che per il 2021 l’effetto del Recovery fund sarà ridotto, visto che ancora i fondi devono arrivare. Draghi ha quindi di fronte una grossa sfida, ma la situazione che eredita gli consente di avere margini di miglioramento per l’economia su diversi fronti e può quindi riuscire a far sì che il risultato finale sia migliore di questa previsione di partenza.
Il suo Governo avrà un nuovo ministero, quello della Transizione ecologica. Cosa ne pensa?
Non è un’innovazione sensazionale, perché di fatto si tratterà di andare a spacchettare alcune funzioni di altri ministeri, in particolare di quello dello Sviluppo economico. Al nuovo dicastero potrebbero essere assegnate competenze in materia di sovvenzioni e target per le energie rinnovabili, piuttosto che sulle norme riguardanti incentivi fiscali come il superbonus del 110% sulle ristrutturazioni.
È quindi una scelta dal significato politico, per cercare di avere l’appoggio dei 5 Stelle?
Molto dipenderà da chi sarà nominato ministro. Se si tratta appunto di assegnare l’incarico a un 5 Stelle, allora è meglio che sia un ministero come quello appena descritto. Diversamente può anche essere fondamentale per la gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza visto che il 37% delle risorse europee saranno destinate per il cosiddetto Green Deal.
In generale lei ritiene che sia meglio un Governo composto da politici o invece da tecnici?
Alcuni politici sono per certi dei versi dei tecnici, come Giorgetti o Patuanelli. Io penso che i partiti spingeranno per poter avere sia un esponente “tecnico” che “politico”, ma Draghi non potrà che preferire tecnici esperti. Mi auguro che vengano scelte persone competenti e possono esserlo anche quelle con lunga esperienza politica in un determinato campo.
Una casella chiave sarà quella del Mef. A chi assegnarla?
Purtroppo non è una scelta facile. Circolano tanti nomi, ma non ne ho visto uno che sia veramente e totalmente adatto. Ci vuole una persona che conosca bene i bilanci pubblici e i sistemi tributari se si vuole fare, come annunciato, la riforma fiscale. Lo stesso Draghi sarebbe perfetto come ministro del Bilancio, ma avrebbe bisogno di un buon consulente sul fronte tributario.
Non ci sono nomi validi nemmeno fuori dal mondo politico?
Forse solo quello di Daniele Franco, attuale Direttore generale della Banca d’Italia. Purtroppo la qualità del mondo economico-politico è inferiore rispetto a epoche storiche precedenti. Anche per quel che riguarda il fronte della giustizia trovo difficile trovare un nome valido, perché la riforma andrebbe studiata avendo ben presente il diritto penale e quello commerciale.
Al di là dei nomi che Draghi dovrà trovare, come potrà mettere a punto un programma che vada bene a tutti i partiti?
La questione è molto semplice: il programma lo farà Draghi insieme al presidente della Repubblica e i partiti dovranno dire sì o no. Sappiamo che alcuni hanno detto sì a priori, altri dovranno quindi scegliere se adattarsi o meno. Del resto non è possibile pensare a una mediazione tra componenti così numerose.
(Lorenzo Torrisi)
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