“Draghi ha una natura duale” dice Andrew Spannaus, giornalista e opinionista americano, fondatore di Transatlantico.info. “C’è il Draghi della lettera all’Italia del 2011, che ha aperto la strada all’austerity di Monti e scatenato i populismi. E c’è il Draghi governatore della Bce, che in violazione dei Trattati europei ha salvato il continente, Italia compresa”. Dunque Spannaus è prudente, perché occorrerà vedere il nuovo presidente del Consiglio all’opera. La sua sfida maggiore sarà la salvaguardia dell’interesse nazionale italiano in una Ue egemonizzata da Francia e Germania. Ma anche sul piano interno il suo cammino è irto di difficoltà. A cominciare dalla trappola europea della Green economy e dalla riforma della Pa.
Spannaus, oggi Draghi salirà al Colle con la lista dei ministri. Facciamo un primo bilancio? Si conferma il peso del Quirinale.
Quando c’è un disallineamento significativo tra il parlamento e l’opinione pubblica, ci sono i presupposti per mandare il paese al voto, ma così non è stato. Né la pandemia mi è sembrata una ragione sufficiente per evitarlo.
Quali conclusioni ne trae?
La realtà, come ha detto Renzi apertamente, è che non si voleva dare al centrodestra la possibilità di vincere. Mattarella non ha mai avuto alcuna intenzione di mandare al governo partiti attestati su posizioni euro-critiche. Pur di non sciogliere, a quel punto ha messo i partiti con le spalle al muro.
E qualcuno ha pensato di essere più realista del re.
I partiti pensano, appoggiandolo, di riuscire a condizionarlo, ma credo che non saranno loro a condurre i giochi. Il fatto che i ministri di peso, su esplicita indicazione del Quirinale, saranno tecnici, dimostra che Draghi non si farà condizionare facilmente dai partiti.
Quindi?
Tutto sta nel programma che Draghi intende realizzare.
Il Quirinale può dire di avere avuto ragione?
Costringendo i partiti a difendere Draghi nell’interesse nazionale, può dire di avere evitato una speculazione finanziaria. La controprova è l’effetto-Draghi sullo spread. Il resto lo vedremo.
E in prospettiva, sempre sul piano politico?
Far fallire il governo Draghi avrebbe dato una pessima immagine all’estero. Questo è stato uno dei motivi che ha indotto la Lega a decidere di appoggiarlo, per dimostrarsi responsabile e accreditarsi come forza di governo.
Ci riuscirà?
Adesso non possiamo saperlo. In ogni caso, questa vicenda certifica la sconfitta quasi totale della posizione euroscettica. L’Europa è in grado di impedire a partiti portatori di posizioni considerate destabilizzanti di andare o di rimanere al governo. Lo abbiamo visto con il caso Savona nel 2018 e con la crisi di governo del 2019.
Qual è la sua opinione sul nuovo presidente del Consiglio?
Draghi ha una natura duale. Da un lato è tra i primi corresponsabili dell’ascesa del populismo anti-Ue con la sua lettera del 2011 firmata insieme a Trichet: una lista di riforme strutturali da attuare in tempi brevi per decreto. Aprì la strada al Governo Monti e all’austerity. Risultato, crollo del Pil italiano del 7%.
E l’altro lato?
Ha guidato la Bce facendole fare la banca centrale in sostanziale violazione dei Trattati europei, scongiurando una ulteriore crisi finanziaria dei paesi più indebitati come Italia, Spagna e Portogallo, per questo guadagnandosi l’ostilità tedesca. Si è detto convinto che si supera la pandemia ricorrendo alla spesa pubblica e all’indebitamento. Secondo fonti leghiste, avrebbe detto a Salvini di non voler fare altra austerity.
Ci sono i presupposti perché difenda al meglio l’interesse nazionale italiano?
Draghi potrà usare la sua grande credibilità e capacità per agire nell’interesse dell’Italia, ma questo a mio modo di vedere potrà avvenire solamente entro i limiti della scelta europeista.
Questo che cosa significa?
L’ex presidente della Bce è sicuramente atlantista e sembra che fugherà i dubbi sui rapporti dell’Italia con la Cina in un momento di grande e rinnovata competizione tra Washington e Pechino. Ma gli interessi nazionali italiani non necessariamente coincidono con gli interessi di altri giocatori come Francia e Germania, che pur da posizioni formalmente europeiste svolgono una politica estera che guarda innanzitutto ai propri interessi. Draghi sarà disposto a perseguire gli interessi italiani in contrasto con i partner europei? È un grande interrogativo.
Un altro punto di domanda riguarda la risposta alla pandemia. Qual è la sua previsione?
Sarà un aspetto decisivo, sia per gli italiani, sia per il consenso dei partiti che appoggiano Draghi. A mio modo di vedere, l’euforia per la risposta europea alla pandemia è decisamente mal posta.
Perché?
209 mld decisi dopo quasi un anno, da spendere in 6 anni, sono un’operazione deludente, perfino ridicola se paragonata ai soldi già spesi nell’ultimo anno da parte dei maggiori governi occidentali, Europa compresa, per non parlare degli Stati Uniti. Senza entrare adesso nel merito della qualità della spesa, l’Italia stessa ha speso in un anno 110 mld, il 6,5% del Pil annuo, finanziandosi sul mercato a tassi molto bassi. Il Recovery metterebbe a disposizione in 6 anni meno dell’11% del Pil. Il rischio, anche per gli europeisti, è che questa risposta sia decisamente insufficiente. E che essendosi intestati questa soluzione, diventino oggetto di delusioni e di forti critiche.
L’alternativa?
L’alternativa c’è ed è quella praticata fino ad ora, attuata dall’Italia e anche da altri con l’aiuto della Bce modello-Draghi: finanziamento del debito pubblico e monetizzazione del debito.
Alla fine siamo sempre allo stesso punto.
Sono d’accordo. La distinzione vera è tra chi pensa che l’Italia abbia bisogno di un vincolo esterno, e chi no.
Next Generation Eu vuol dire prestiti in cambio di riforme. Una delle condizioni dell’Ue per elargire i fondi è la svolta in favore della green economy, di cui negli Usa si parla da tempo. Cosa può dirci in proposito?
Biden è convinto che ci debba essere una transizione dai combustibili fossili all’energia verde, ma non può certamente permettersi una conversione rapida al Green New Deal. Primo, perché non ha neppure l’appoggio di tutto il partito democratico. Secondo, per una ragione di peso strategico e di occupazione. Gli Usa sono il primo produttore al mondo di combustibili fossili non convenzionali, shale oil e shale gas. Per cambiare direzione ci vogliono tempo e investimenti.
Come vede le scelte europee?
Anche la von der Leyen ha messo la transizione verde come punto chiave del suo programma. Il Recovery Fund dell’Italia destina un terzo delle risorse, 70 mld, alla transizione ecologica. L’efficientamento energetico è un bene perché riguarda materiali, edilizia e lavoro, dunque una economia molto reale. Ma occorrono anche investimenti a lungo termine, direi anzi che sono indispensabili.
Che cosa intende?
La vera strada verso il cambiamento energetico passa per investimenti in ricerca e sviluppo, per rendere la nuova tecnologia compatibile con l’economia di oggi. Non si può passare in pochi anni al 50% di rinnovabili, costose da finanziare e da mantenere, senza generare danni importanti all’economia. Il disastro sarebbe pensare di fare una transizione verde costringendo tutti a comprare macchine elettriche prima di avere infrastrutture e tecnologie adeguate.
Insomma non basta creare un ministero della transizione ecologica.
Direi proprio di no. Ma Draghi lo sa benissimo. Lo ha capito anche Di Battista, che non si dimentica delle battaglie più ampie del Movimento 5 Stelle.
Draghi deve fare riforme difficili. La più importante?
A mio modo di vedere, quella della giustizia civile, molto difficile in termini di organizzazione. Inoltre è una riforma che chiede risorse economiche e nuovi organici. E ho qualche dubbio che le riforme che Draghi ha in mente comportino un aumento dell’organico. Penso che possa andare piuttosto nella direzione opposta e che possa essere impopolare.
A proposito della riforma della pubblica amministrazione?
Altrettanto importante quanto difficile. In Italia può portare a manifestazioni di piazza, perché vorrebbe dire solo una cosa: tagli.
Il suo scenario?
Se Draghi resterà oltre quest’anno, dovrà tenere testa – ammesso che intenda farlo – alla commissione Ue, che l’anno prossimo ricomincerà a parlare di parametri di bilancio da rispettare. Il rischio di diventare impopolare c’è. Solo allora sapremo fino a che punto i partiti che ora lo appoggiano saranno disposti a sostenerlo.
(Federico Ferraù)
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