Mario Draghi mette a punto il suo governo con alcuni nomi che circolavano da giorni. Ma, alla fine, non sono mancate le sorprese dell’ultima ora e, in tutti i casi, lo stile del nuovo Presidente del Consiglio si è notato proprio nel momento più delicato, quello delle ultime 24 ore, quando Draghi ha dribblato tutte le possibili indiscrezioni, usando luoghi inaccessibili alla stampa.
Con molto realismo, ma rispettando scrupolosamente l’articolo 92 della Costituzione, Draghi, supportato ovviamente dai consigli e suggerimenti del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è riuscito a combinare un mix di tecnici e rappresentanti dei partiti politici che hanno aderito alla maggioranza istituzionale. Un mix che non sembrava affatto facile, visto il clima del dibattito italiano in corso da molti anni.
Con una prima impressione, si può dire che Mario Draghi sia riuscito nell’intento che si proponeva e che si prepari a una partita difficile ma con discrete armi a disposizione. Ci sono innanzitutto otto tecnici nel nuovo esecutivo e sono quelli che, a partire da Daniele Franco, direttore generale di Bankitalia, promosso al ministero dell’Economia, segnano la linea del nuovo Presidente del Consiglio sulla conduzione dell’emergenza italiana in materia economica e sociale. Con Franco, c’è Vittorio Colao al ministero che dovrà curare la transizione digitale e, in perfetta sintonia, Roberto Cingolani, un fisico che dovrà curare la transizione ecologica. Gli obiettivi che ci consiglia (o forse impone) l’Unione europea.
Se si considera che Draghi si avvarrà inoltre di Roberto Garofoli, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e manterrà la delega per i rapporti con l’Europa (non avendo in quel ruolo nominato nessun ministro e sottraendolo di fatto al ministro degli Esteri), si arriva al nodo cruciale del problema: quello che segna la discontinuità con il precedente governo Conte, sui problemi della gestione del Recovery fund, ma soprattutto sull’impostazione complessiva per affrontare la questione sociale ed economica dell’Italia dei prossimi anni.
Si aggiungano come esponenti tecnici del governo il nuovo ministro della giustizia, Marta Cartabia, e la riconfermata ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Due donne che, con tutta probabilità, hanno uno sponsor di prim’ordine al Quirinale. Vicino a loro si possono aggiungere Maria Cristina Messa, nuovo ministro alla Ricerca e all’Università, e Patrizio Bianchi, nuovo ministro all’Istruzione, che sostituisce la contestata Lucia Azzolina. Cerchiamo di entrare nel “cuore” di questo esecutivo che stamattina a mezzogiorno giurerà.
Al gruppetto compatto degli uomini di Draghi (e sostenuti da Mattarella) vanno aggiunti il leghista-europeista Giancarlo Giorgetti, allo Sviluppo economico, ed Enrico Giovannini, un economista teorico della sostenibilità che diventa ministro ai Trasporti.
E’ evidente che Draghi abbia lavorato soprattutto su questo “pacchetto di mischia” per la grande questione economica e sociale. Draghi se lo è aggiudicato con decisione questo gruppo che appare compatto e probabilmente sarà questo il nucleo che caratterizzerà l’azione del governo, che ne sarà il vero traino. Accanto a questa scelta, secondo alcuni con una buona dose di equilibrismo, Draghi ha poi probabilmente lasciato che si aggiungessero quindici ministri di derivazione politica, in rappresentanza di tutti i partiti della cosiddetta coalizione istituzionale.
Rispettando le quote parlamentari, quattro ministri vanno ai Cinquestelle, dove spiccano le riconferme di Luigi Di Maio, Federico D’Incà, Fabiana Dadone e Stefano Patuanelli; tre vanno al Partito democratico con l’ingresso di Andrea Orlando a ministro del Lavoro, con Dario Franceschini un po’ dimezzato alla Cultura e con il riconfermato Lorenzo Guerini alla Difesa.
Ma è la sinistra di Leu, non il Pd, che può vantare una conferma che rispetta, in questo caso, una continuità con il precedente governo. La riconferma è quella di Roberto Speranza come ministro alla Salute, che dovrà a questo punto affrontare la prima delle tre emergenze che il Presidente Mattarella aveva indicato quando ha chiamato Draghi per conferirgli l’incarico: la battaglia contro la pandemia e quindi la messa a punto di un piano vaccinale che diventa sempre più urgente viste tutte le questioni di mutamento e delle cosiddette varianti del virus.
Poi ancora tre ministri alla resuscitata Forza Italia, nelle persone di un redivivo Renato Brunetta alla Pubblica amministrazione, Mara Carfagna per i problemi del Sud, Mariastella Gelmini che diventa ministro alle Autonomie. Quindi tre leghisti, perché oltre al già citato Giorgetti, che pare più utile mettere nel “pacchetto” economico, c’ è Erika Stefani alle Politiche sulla disabilità e Massimo Garavaglia al Turismo. Infine c’è pure il riconoscimento per Elena Bonetti, con il ministero delle Pari opportunità e che rappresenta il partito di Matteo Renzi, che, comunque lo si giudichi, è il playmaker della crisi e del rimescolamento di carte che è avvenuto nel giro di un mese.
Appare evidente, a prima vista, che la consistenza del cosiddetto “pacchetto tecnico” sia un “governo” che trascina un altro governo e che le tre emergenze abbiano, al momento, segnato due discontinuità rilevanti. La scommessa di Draghi sembra al momento riuscita per la tenuta di almeno un anno e gli aggiustamenti si potranno vedere abbastanza presto. Forse, se il governo otterrà la fiducia necessaria, la discontinuità toccherà inevitabilmente anche il nodo della sanità, almeno negli aspetti più organizzativi.
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