Andrea Orlando, vicesegretario del Partito Democratico, è il nuovo ministro del Lavoro del nascente governo Draghi. Non una casella qualunque per il maggiore partito della sinistra italiana, che da questo ministero cercherà con uno degli uomini più rappresentativi della propria segreteria di lasciare la propria impronta nell’esecutivo. Nato a La Spezia da padre campano e madre toscana, per Andrea Orlando non è questa la prima esperienza da ministro: guidò il dicastero dell’Ambiente con Enrico Letta premier, poi divenne ministro della Giustizia dopo l’avvento di Renzi a Palazzo Chigi: ruolo di Guardasigilli confermato anche con Paolo Gentiloni. Dopo aver rifiutato l’ingresso nel secondo governo Conte, al quale aveva addebitato la necessità di un cambio di passo, Orlando è espressione della posizione incarnata dalla segreteria Zingaretti, uno dei nomi spendibili più alti in grado visto il “veto” ai leader per quanto riguarda l’ingresso nella compagine governativa.
ANDREA ORLANDO, NUOVO MINISTRO DEL LAVORO
Ma chi è Andrea Orlando? La sua è la storia di tanti “figli” dell’apparato post-comunista: iscrittosi alla Fgci a soli tredici anni, l’ingresso nel Pci avviene a 18 anni. Due anni più tardi diventa segretario provinciale della Federazione Giovani Comunisti Italiani ma il suo attivismo non piace a Gianni Cuperlo, che lo accusa di aver diviso l’organizzazione promuovendo un’iniziativa con i giovani del Psi. Lui rivendica la scelta, sostenendo che i compagni “avevano votato a mio favore“, ma i vertici disapprovano ed è costretto a lasciare la carica. In compenso viene eletto in consiglio comunale per il Pci, poi per il Pds, dando inizio ad una scalata che nel 2003 lo porta nel partito nazionale. E’ l’inizio di una storia che lo vede prima responsabile degli enti locali, dell’organizzazione, poi presidente del Forum giustizia, portavoce di Veltroni segretario e pure di Franceschini, fino a quando nel 2019 non diventa vice-segretario con Zingaretti. Tifoso della Fiorentina, profondo conoscitore del Festival di Sanremo, i genitori non volevano che facesse il politico di professione: “C’è stato quasi un conflitto, credo che si sia risolto solo quando sono stato indicato ministro“. Adesso, con l’indicazione di Draghi, è la terza volta che accade: si può dire che aveva ragione lui.