La priorità assoluta per il Sud è “recuperare culturalmente i territori di frontiera”. Parola di Roberto Di Bella, presidente del Tribunale dei Minorenni di Catania e ideatore del progetto “Liberi di scegliere”, che ha favorito il reinserimento nella società di diverse decine di ragazzi cresciuti in ambiente di mafia e ’ndrangheta.
Il motivo dell’urgenza di questa opzione è presto detto. Basta riportare alcuni dati nudi e crudi. In una regione come la Sicilia la dispersione scolastica ha superato il 20% (con punte del 30% in alcuni quartieri popolari delle grandi città); inoltre, la differenza percentuale di residenti senza diploma tra Milano e Catania è di 20,5 punti (a Milano sono il 35,7%, nella città etnea il 56,2%). Ma questi elementi sono ancora poca cosa se non se ne colgono le conseguenze sul territorio. Nel momento di crisi che tocca la scuola, le famiglie e il mondo delle strutture sociali la mafia si propone spesso come spesso l’unico soggetto capace di integrare e dare una prospettiva ai ragazzi dei ghetti urbani: a loro propone un facile guadagno e un “posto” in società.
Ecco perché, in una situazione come quella descritta, va salutato come un passo importante l’istituzione di un Osservatorio sui minori della provincia etnea promosso dalla Prefettura in collaborazione con il Tribunale per i minorenni, la Procura, la Chiesa locale, il Comune metropolitano e il Terzo settore. L’iniziativa, che ha già un precedente con buoni risultati a Reggio Calabria (il progetto “Liberi di scegliere”), prende atto che il criterio per valutare la bontà della lotta alla mafia non è dato dal numero dei picciotti incarcerati, ma piuttosto dal numero dei ragazzi dei quartieri emarginati che vengono sottratti all’inferno delle mafie e diventano liberi di costruirsi il proprio futuro.
L’obiettivo è ambizioso, ma non impossibile. Perché ciò accada l’Osservatorio, anziché divenire un ennesimo ente burocratico, deve essere nel territorio promotore dello sviluppo di una cultura della cura dei minori. Finora migliaia di ragazzi in Sicilia e nel Sud sono stati o emarginati dalla scuola (in obbedienza ad un angusto orizzonte che teneva in primo piano i programmi scolastici e i voti piuttosto che la presa in carico degli studenti, soprattutto quelli in difficoltà) o sono stati privati dei corsi (in particolare quelli di formazione professionale, per colpevoli ritardi burocratici) e dati in pasto alla malavita.
Ci piace chiudere con un esempio virtuoso, uno dei tanti che fortunatamente ancora accadono, che ha visto la collaborazione di un gruppo di insegnanti di un liceo statale di Catania e un’associazione di volontariato che opera in un quartiere popolare. Un’alleanza che è nata a partire da un caso concreto: una studentessa tunisina, oggi al quarto anno di liceo, che a causa di gravissimi problemi familiari (fra cui lo sfratto) ha avuto difficoltà a studiare, soprattutto in un momento storico in cui per seguire la didattica a distanza c’è bisogno di avere un tablet o un cellulare e un ambiente abitativo adeguato. Ebbene, nel fecondo rapporto fra il liceo e l’associazione di volontariato si è sviluppato un sostegno concreto (una discreta ma efficace azione solidale fra docenti e volontari: dono del cellulare, di aiuti alimentari, benefit) e stabile (un doposcuola gratuito) per aiutare la ragazza nello studio, che sta dimostrando frutti positivi.
La priorità educativa non può non passare per forme così concrete nel prendersi cura dei minori sia da parte delle istituzioni sia del volontariato. È quello che ci auguriamo possa promuovere anche l’Osservatorio patrocinato dal ministero degli Interni.
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