In un precedente intervento ho preso brevemente in esame tre figure della letteratura barocca che, oltre a essere ciascuno l’emblema di un atteggiamento che l’essere umano può assumere di fronte alla realtà, in un cambiamento d’epoca e in un momento di crisi, sono anche divenuti nei secoli forse gli unici tre grandi miti della modernità letteraria: Amleto, Don Chisciotte e Don Giovanni.
Vorrei qui semplicemente sottolineare un fatto curioso, anche se in fondo non così tanto, per cui essi ritornano tutti, sotto mentite spoglie, nell’opera che ha fatto del Barocco il suo soggetto principe, e che ha dato del secolo XVII uno dei ritratti più clamorosi e complessi: sto parlando de I promessi sposi di Alessandro Manzoni.
Per cominciare, Corrado Bologna ha evidenziato su tutti che nel Fra Cristoforo che lascia il suo convento di Pescarenico all’alba, quando “il sole non era ancor tutto apparso sull’orizzonte”, nel capitolo IV del romanzo, risuona chiaramente il Chisciotte che “circa all’alba”, e proprio nel capitolo IV dell’opera di Cervantes, lascia la locanda dove è stato fatto fittiziamente cavaliere, in cerca di torti da riparare e di ingiustizie da vendicare. Apparente coincidenza, se non fosse che in qualche modo l’intento del frate è il medesimo dell’hidalgo della Mancia: e lo è stato fin da quando Cristoforo si chiamava Lodovico, ed era un arricchito desideroso di essere nobile e particolarmente sensibile ai soprusi e alle ingiustizie.
Il legame tra i due si fa ancor più netto se pensiamo che il Quijote è il prototipo del romanzo moderno, il genere che Manzoni inaugura nella letteratura italiana, e se ricordiamo che l’escamotage del manoscritto ritrovato è da Manzoni (come da altri) tratto di peso dall’opera cervantina, la quale lo ricavava a sua volta dal Furioso di Ariosto e dalla letteratura cavalleresca, tanto quella “alta” quanto quella popolare dei “cantari”. A questo proposito sempre Corrado Bologna, nel suo ultimo lavoro sulle illustrazioni de I promessi sposi realizzate da Gonin su indicazioni dello stesso Manzoni, ha svelato che con ogni probabilità questi aveva sul suo scrittoio una traduzione francese del Don Chisciotte uscita a Parigi nel 1836, le cui illustrazioni in certi casi sembrano essere gli archetipi di quelle goniniane.
In realtà Fra Cristoforo, novello Chisciotte italiano, assume successivamente – e momentaneamente – le sembianze di un altro personaggio letterario: è Giovanni Macchia infatti, alcuni decenni fa, ad aver identificato, nel dialogo tra il Frate e Don Rodrigo nel capitolo VI (con il celebre “Verrà un giorno…”), la riproposizione dell’ammonimento della Statua del Commendatore a Don Giovanni nel finale dell’opera mozartiana (G. Macchia, Tra don Giovanni e don Rodrigo, 1989). Effettivamente, il personaggio di Don Rodrigo, con il suo essere totalmente e acriticamente immerso nella sua sensualità, è modellato sul Don Giovanni di Mozart-Da Ponte, immagine che Manzoni aveva ben presente per aver assistito più volte, alla Scala di Milano, alla sua rappresentazione scenica.
Infine, non poteva mancare Amleto. Egli è presente nel romanzo non tanto nell’assillo della vendetta filiale, quanto sotto il profilo dell’inquietudine e del dubbio di fronte alla morte, e immobilizzato nell’ipotesi di una mancanza di senso da risolversi nel suicidio (To be or not to be): sto parlando ovviamente dell’Innominato, e in particolare della notte successiva all’incontro con Lucia, nella quale l’uggia che lo tormenta da qualche tempo emerge minacciosa dopo essersi trovato di fronte al viso della giovane, e lo tormenta poi alludendo all’ombra di un possibile giudizio superiore: un timore che viaggia parallelamente al bisogno estenuante di un significato per la propria vita. Il momento del pensiero del suicidio è accompagnato dalla domanda su ciò che ci sarà ad aspettarlo oltre la soglia della morte, ed è stato sottolineato in diversi casi come questo percorso ricalchi con chiarezza proprio il dilemma dell’eroe shakespeariano, autore che Manzoni aveva letto a fondo.
Ora, sappiamo che molteplici sono le fonti manzoniane, e che non deve forse stupirci troppo trovare questa messe di riferimenti nella costruzione dei personaggi de I promessi sposi (diversi sono, per esempio, anche solo le citazioni e i riferimenti alle altre opere di Shakespeare). D’altro canto, se è attendibile il segno che abbiamo tracciato nell’articolo precedente tra questi tre simboli letterari, è interessante trovarli rappresentati senza dimenticanze nel Seicento manzoniano, e appartenenti allo strato sociale superiore rispetto ai popolani Renzo, Lucia e Agnese.
Non solo, Manzoni sembra presentarceli “riletti” nell’ottica cristiana del romanzo. L’ansia ideale e di giustizia che muove il Chisciotte, e che lo spinge a costruirsi cavaliere in un mondo che non c’è, viene riscattata e resa più “reale” dalla scelta di vita di Lodovico-Cristoforo, e viene portata a termine nel segno di una giustizia-misericordia quasi impossibile al pensiero umano: pensiamo al perdono concesso da Renzo a Don Rodrigo, sul letto di morte, per tramite proprio del frate. Parallelamente, la voracità morale di Don Giovanni, il fuoco da cui è divorato in un tempo ridotto al solo istante si purifica sul giaciglio dove, appunto, Renzo giunge al perdono per il signorotto perseguitatore.
Infine, nella figura dell’Innominato sembra quasi che il dubbio amletico sull’aldilà sia cancellato da qualcosa di presente nell’al di qua, dal chiasso della processione prima e dall’abbraccio del Cardinal Federigo poi, così che l’esistenza terrena possa acquistare un nuovo significato e il suicidio perdere lo statuto di possibilità reale.
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