L’industria italiana può fare la sua parte per fronteggiare l’emergenza Covid. Come? Producendo vaccini. Ne è convinto Giorgio Palù, professore emerito di Virologia all’Università di Padova e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). «L’Italia produce da tempo vaccini in conto terzi e ha una grande potenzialità di impianti», la premessa nell’intervista concessa a La Stampa. Secondo Palù, l’industria italiana può intervenire in varie fasi della produzione dei vaccini che sono stati autorizzati. Quando però gli viene chiesto se Aifa ha già esaminato dei siti produttivi, precisa che è un tema delicato e spiega: «Posso solo dire che l’Aifa svolge questo tipo di indagini sia in proprio, sia per conto di Ema e Fda».
Nel frattempo, continua il pressing per il vaccino Sputnik V, invocato da molti: «La protezione verso la malattia è del 91%, ma sarà l’Ema a verificarlo e ad esaminare i siti produttivi». Invece per l’approvazione del vaccino Johnson&Johnson bisogna aspettare ancora un mese, ma ne vale la pena per Palù, perché «si conserva a 4 gradi e funziona con una sola dose».
PALÙ (AIFA) SU STRATEGIA VACCINALE UK
Un vaccino che ha fatto discutere è invece quello di AstraZeneca, i cui nuovi dati però fanno ben sperare. «Con la seconda dose distanziata dalla prima fino a tre mesi la protezione salirebbe all’80%, che non significherebbe eliminare la seconda dose, ma consentirebbe intanto di vaccinare più persone», spiega Giorgio Palù a La Stampa. Anche in questo caso, c’è una valutazione in corso da parte dell’Ema, che approfondirà poi le novità di Pfizer in merito alla conservazione in frigo e l’uso in una dose. Per quanto riguarda la somministrazione di AstraZeneca agli anziani, ha anticipato che verrà pubblicata preso una circolare dal ministero della Salute per fare chiarezza. Sui tempi della campagna vaccinale, invece, il presidente dell’Aifa preferisce non sbilanciarsi. «Se le case farmaceutiche rispetteranno le consegne per l’estate avremo vaccinato molte categorie». Nel frattempo, la Gran Bretagna corre, ma con una strategia diversa, perché sono dei «pragmatici sperimentalisti». Hanno puntato a proteggere gli anziani, poi hanno vaccinato più persone possibili con una dose.
“IMMUNITÀ DI GREGGE? BASTA 65% MA…”
Per quanto riguarda, invece, l’immunità di gregge, Giorgio Palù ritiene che bisognerebbe vaccinare il 65% della popolazione italiana, ma non sappiamo la durata degli anticorpi, quindi bisogna pensare ad accelerare la campagna per limitare la diffusione del coronavirus. «Senza dimenticare che la pandemia finirà quando tutti i Paesi avranno i vaccini», precisa il presidente dell’Aifa a La Stampa. Nel frattempo, si può pensare ad un passaporto per i vaccinati: «Il Centro europeo per il controllo delle malattie lo suggerisce e mi pare una buona idea, anche per permettere spostamenti sicuri». Nessun allarmismo, invece, sulle varianti: «Nelle sue mutazioni di lungo periodo questo virus già poco letale tenderà a uccidere sempre meno per non estinguersi». Per il momento non c’è il rischio di doversi vaccinare di nuovo per le varianti, «ma dipenderà dalla durata dell’immunità e della pandemia e da eventuali varianti resistenti ai vaccini». Invece dobbiamo prepararci ad un aumento dei contagi, per questo «in presenza di focolai vanno inasprite le misure su assembramenti, mobilità, trasporti e protezioni individuali».