L’anno più nero il 2020, si è chiuso per UniCredit con una perdita netta di 2,8 miliardi di euro a fronte delle stime degli analisti di 2,3 e dopo le rettifiche su crediti da 5 miliardi per far fronte all’impatto economico attuale e futuro della pandemia di Covid-19. È quanto è emerso dai comunicati ufficiali diffusi nella serata del 10 febbraio, dopo la riunione del CdA che ha approvato i risultati consolidati del Gruppo al 31 dicembre 2020. Nella stessa data Jean Pierre Mustier ha lasciato, in anticipo sulla scadenza formale di aprile, il ruolo di capo azienda della banca che ora è guidata dal Dg ad interim Ranieri de Marchis fino all’arrivo del nuovo Ad Andrea Orcel, con l’assemblea degli azionisti che si terrà il 15 aprile p.v.
Il Gruppo ha conseguito nel 2020 un utile netto sottostante di 1,3 miliardi di euro, superiore rispetto a una indicazione di 0,8 miliardi grazie a migliori costi. L’attività commerciale ha risentito delle restrizioni legate al Covid-19 con una diminuzione del volumi dei prestiti a fine anno, la pressione sui tassi di mercato e minori commissioni su investimenti e da servizi.
Un anno molto difficile sostenuto da un modello di business diversificato, segnato da un’accelerazione della trasformazione digitale, da basi finanziarie con una robusta posizione di capitale e di liquidità, un bilancio con rischi ridotti a seguito delle azioni proattive degli ultimi 5 anni. Sono state cedute esposizioni deteriorate lorde del portafoglio Non Core per 3,4 miliardi di euro nel corso dell’anno, in linea con i tempi previsti per il completo azzeramento nel 2021.
I costi operativi sono diminuiti grazie all’ottimizzazione della rete di filiali e la riduzione del personale del Gruppo nei tempi previsti nel piano Team 23 per la diminuzione di circa 8.000 unità e la chiusura di circa 500 filiali. UniCredit si aspetta per il 2021 un utile netto sottostante superiore a 3 miliardi di euro. Combinando le distribuzioni ordinaria e straordinaria, agli azionisti sarà corrisposto nel 2021 un importo totale pari a 1,1 miliardi, costituito da riacquisti di azioni proprie per 0,8 miliardi e dividendi in contanti per 0,3 miliardi.
UniCredit è un gruppo relativamente giovane, nasce nel 1998 dalla fusione fra Credito Italiano e Unicredito, ma le origini e le radici della banca sono antiche e profonde, bisogna risalire al 1870, quando viene fondata la Banca di Genova, che diventerà nel 1895 il Credito Italiano. Una delle tre banche di interesse nazionale di proprietà dell’Iri che nel 1992 insieme al Nuovo Pignone fu la prima delle Aziende di Stato a essere messa sul mercato dando l’avvio alla lunga stagione delle privatizzazioni. L’attuale premier Mario Draghi, all’epoca era Dg del Tesoro e da quella posizione gestì il processo delle dismissioni pubbliche.
Da allora molta strada è stata percorsa: UniCredit è divenuto nel tempo un Gruppo e una banca paradigmatica dei cambiamenti del settore. Una lunga serie di operazioni societarie, fusioni, piani industriali, riorganizzazioni che l’hanno portata a essere oggi un’importante banca commerciale paneuropea con una divisione Corporate & Investment Banking ben integrata e una rete unica in Europa occidentale e centro-orientale. Un network europeo su 13 mercati principali e clienti in 18 Paesi nel mondo.
Dopo tre capi Azienda come Profumo, Ghizzoni e Mustier, certamente Andrea Orcel avrà il suo bel da fare. Un banchiere che dopo aver lavorato per Goldman Sachs, Merrill Lynch, Ubs, affronterà ora la sfida in UniCredit per diventare il Ceo del secondo gruppo bancario italiano. Una personalità forte che dovrà misurarsi su più fronti, Orcel è un banchiere internazionale ma sinora non ha mai guidato nessuna banca commerciale e UniCredit è innanzitutto una banca commerciale. Si è fatto un nome nell’investment banking, soprattutto fusioni e acquisizioni, ha lavorato a grandi accordi tra cui quello che ha fatto nascere UniCredit, è stato il principale advisor, in Merrill Lynch, dei due aumenti di capitale di Mps nel 2007 per l’acquisto di Antonveneta da Santander per ben 9 miliardi, due in più di quanto lo stesso istituto spagnolo aveva pagato mesi prima. Un’operazione questa dalla quale sono iniziati tutti guai di Mps che hanno portato a crolli in Borsa, inchieste penali, annuali rettifiche di bilancio, per essere salvata e finire in mano al Tesoro, che ora ne controlla il 64%, una quota su cui il Governo si è impegnato con l’Unione europea a trovare un compratore ed uscire dal capitale entro la fine del 2021.
E nel gran risiko della finanza la crisi del Monte sembra sia arrivata all’ultima spiaggia. Lo Stato punta a salvarlo proprio con UniCredit. I rumors politici e finanziari dicono da tempo che sarà UniCredit a rilevare quel 64% di Mps in mano allo Stato. In questa prospettiva anche l’indicazione alla presidenza di UniCredit dell’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è stata vista da molti osservatori come un segnale. E Andrea Orcel potrebbe essere uno dei principali protagonisti dell’operazione che salva il Montepaschi, dopo averne causato, pur non avendo colpe direttamente, la rovina con l’operazione AntonVeneta. Su Mps pesano forti perplessità fra gli azionisti di UniCredit, a partire dalle Fondazioni, i Fondi e soci importanti come Del Vecchio.
Il Governo sembra disposto a fare di tutto per cedere Mps, anche liberandolo delle sofferenze rimaste e non ancora emerse pari ad almeno 20 miliardi, caricandosi anche dei possibili effetti, una decina di miliardi delle cause legali. Secondo gli analisti, bisogna evitare che Mps sia per UniCredit la nuova Capitalia. E chi era alla guida del team di Merrill Lynch quando da advisor consigliava l’UniCredit sull’acquisto di Capitalia? Andrea Orcel.
Con Profumo alla guida di Unicredit l’acquisizione di Capitalia nel 2007 si è poi rivelata a dir poco complicata e rischiosa per il Gruppo. Complice anche la grande crisi finanziaria del 2008-2011, negli anni successivi gli azionisti sono stati chiamati più volte a metter mano al portafoglio per diversi aumenti di capitale fino a quello del 2017 da 13 miliardi che è rimasto nella storia come il più grande aumento di capitale di una banca in Europa. Ed è seguita negli anni un’opera severa di pulizia di bilancio per evitare altre ricapitalizzazioni con le cessioni di Bank Pekao, Pioneer, Fineco.
Cosa farà adesso Unicredit, una delle grandi banche europee più penalizzate in Borsa? Un titolo che negli ultimi cinque anni ha perso, come tutti i finanziari, ma più pesantemente di altri, nonostante attivi superiori a quelli di banche concorrenti. Non solo Mps, potrebbe anche emergere un accordo con Banco Bpm e Bper, banche più efficienti. Sarà UniCredit il grande aggregatore? Riuscirà Orcel nell’impresa? Dovrà mediare in una situazione insolita e per fare cosa?
Secondo gli esperti occorre rilanciare la banca commerciale e farla funzionare al meglio. Razionalizzare la presenza degli sportelli e le risorse umane, tagli occupazionali, investire in tecnologia. In quest’ottica è stato realizzato il piano strategico Transform 2019 incentrato sulla ristrutturazione e la riorganizzazione del Gruppo, con particolare attenzione al rafforzamento del capitale e al miglioramento della qualità dell’attivo.
Il focus del nuovo piano Team 23 è invece la customer experience, insieme all’ottimizzazione dei processi. L’aumento e il rafforzamento della base dei clienti, la massimizzazione della produttività, la gestione del capitale e del bilancio, la gestione disciplinata del rischio e dei controlli.
Le grandi banche sono in difficoltà. Le dimensioni contano, aggregare e partecipare al consolidamento bancario in Italia può essere una scelta. Lo si vede guardando anche al valore di capitalizzazione di Borsa. Le principali 7 banche italiane valgono ora circa 68 miliardi avendo bruciato in un anno 26 miliardi di euro. Anche se Mps non sembra proprio corrispondere all’identikit migliore per una possibile preda.
Da ultimo e non ultimo la partita dell’Est europeo dove UniCredit è ancora ben presente. Di cose da fare ce ne sono davvero molte. La partita e la sfida sono aperte, l’esito non scontato.