All’inizio di questa settimana, Mario Draghi, il cosiddetto “silenzioso” (che procura tanto fastidio all’attuale “repubblica dei social” italiana) ha chiamato un ministro, uno di quelli che ha dovuto “assumere”, per chiedere se il precedente governo Conte 2 aveva fatto un minimo di ricognizione, quando si parlava di un vaccino in preparazione, per conoscere le disponibilità e le possibilità dell’industria farmaceutica italiana, che esiste ancora e che ha pure dei marchi di valore.
È dalla fine della primavera scorsa che si parla dello studio e della preparazione di un vaccino contro il Covid–19, ma i fautori della “democrazia diretta” e dei loro soci della cosiddetta sinistra di “lotta e di governo” (boh!) si sono ben guardati dall’interpellare qualcuno. Alla fine, Draghi ha dovuto prendere atto che la “dimenticanza” ha causato un ritardo inspiegabile e demenziale nella lotta al Covid. C’era tutto il tempo di adattare o di predisporre, nel giro di 4 o 6 mesi, degli impianti di produzione di vaccini che ci servono ormai disperatamente.
Questa è una delle tante eredità, forse la più drammatica in questo momento, che il governo Draghi ha ricevuto. È vero che Draghi è stato chiamato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e da qualcun altro che vive in altre parti del mondo, per risolvere innanzitutto, in modo comprensibile e accettabile, il famoso Recovery Fund, che dovrebbe assicurarci oltre 200 miliardi di prestiti e aiuti dall’Unione Europea, ma nessuno pensava che con le varianti del virus la cosiddetta curva dei contagi si mettesse a risalire.
A questo punto, Draghi ha dovuto, temporaneamente, spostare al primo posto del suo programma la lotta al virus e la “battaglia” dei vaccini, che sono i due aspetti di un unico problema.
Qui vengono fuori tutti i limiti dell’attuale politica italiana, con una sinistra in ebollizione e con i 5 Stelle immersi in una sorta di “guerra civile”, mentre la destra è l’immagine di una politica che, pur con la sua inconsistenza di ogni tipo, può persino vincere alle future elezioni contro una sinistra che, in quindici anni, ha perso sei milioni di voti, secondo i calcoli fatti e dichiarati dal sindaco di Firenze, Dario Nardella del Pd.
A questo punto, il compito di Draghi sta diventando sempre più difficile e quindi ha cominciato a farsi sentire, in modo secco e tagliente, nella riunione dell’Unione Europea dove la trattativa sull’acquisto dei vaccini è stata quasi catastrofica, con aziende che non rispettano le consegne, tagli inspiegabili nelle forniture, oppure ritardi che fanno saltare tutti piani vaccinali di fronte ai nuovi “cluster Covid” che, in questa fase della pandemia, si presentano a macchia di leopardo soprattutto in diverse parti d’Italia. Quindi Draghi, senza “battere i pugni”, ha dato la sveglia a chi ha trattato in Europa l’affare dei vaccini.
Ma è probabile che, al più presto, Mario Draghi comincerà a farsi ascoltare anche nel Belpaese. Pochi hanno spiegato ad esempio che il Consiglio dei ministri, quando si dovevano nominare i sottosegretari, si è prima interrotto, ma è stato lo stesso Draghi a fissare l’orario di riconvocazione e un’eventuale nomina che poteva anche non rispettare gli interessi cencelliani dei partiti.
Poi, sempre in silenzio, ha cambiato il capo della Protezione civile, mettendo Fabrizio Curcio al posto di Angelo Borrelli.
Ora sta guardando, con un certo “interesse”, al Comitato tecnico-scientifico, composto da una ventina di persone, di cui molte registrano sistematiche assenze in diverse riunioni. Non è escluso poi che l’ormai celebre Domenico Arcuri, l’uomo con più incarichi al mondo, possa vedere ridotto, se non annullato, il suo impegno alla scadenza del contratto ad aprile.
Una cosa è certa, che sinora, in un paio di settimane, “miracoli” Draghi non ne ha di certo fatti, ma ha imposto almeno un altro modo di muoversi: dichiarazioni limitate, singoli personaggi che non tengono più conferenze stampa, dichiarazioni con un certo anticipo per la variazione dell’indice di rischio, quello contrassegnato dai colori per le Regioni e per alcune categorie che sperano sempre in una riapertura della loro attività.
Si aggiunga l’istituzione di un unico portavoce che ragguagli a tempo debito sull’andamento della pandemia, lasciando tuttalpiù ai talk-show televisivi gli scontri tra le teorie diverse dei virologi, che spesso confondono le persone.
Come giudicare questo modo di governare? Appare sempre più evidente che il vero governo si limiti alla personalità del premier e ai suoi diretti collaboratori in campo economico e, adesso, dato il momento, anche sul piano sanitario.
Lo abbiamo già detto, ma occorre ripeterlo perché appare sempre più evidente e inevitabile: c’è un governo nel governo. C’è un nucleo dirigente che guarda una rappresentanza politica quasi con distacco.
Ed è proprio quest’ultima parte che dovrebbe fare i conti con se stessa, ma che al momento non pare abbia la possibilità di suggerire o tanto meno di correggere le scelte del presidente del Consiglio.
Come giudicare una simile politica governativa? Sembra grottesco parlare di discontinuità in una situazione come questa. Il “perno” del governo decide, gli altri fanno discorsi di rifondazione e di ritrovare un’identità. Sembra un’auto-analisi collettiva surreale.
Così fanno i 5 Stelle, alcuni affidandosi a Giuseppe Conte, ritornato a fare il professore, altri invocando i valori originali, altri ancora scoprendo nuovi valori “liberali e moderati”, come ha detto Giggino Di Maio. Una autentica scoperta per chi è partito da Rousseau e dai suoi interpreti moderni Casaleggio e Grillo. Forse solo un delirio.
Poi c’è la sinistra classica, con il Partito democratico anche lui in cerca d’identità, che mette in discussione lo stesso segretario Nicola Zingaretti e magari pensa a un rientro di tutti i transfughi di questi anni. Con in più M5s a supporto.
La destra di FdI aspetta, immobile e scontata nei suoi perenni discorsi, che sembrano solo legati a una crescita elettorale. Tutto questo arriva ai cittadini italiani in modo fastidioso: sperano che Draghi risolva i problemi più urgenti, come quello dei vaccini e dell’economia, mentre resta infastidito dal costante chiacchiericcio dei partiti. Al tutto manca solo un intervento della magistratura, con un nuovo Palamara di turno.
Se questa è la politica italiana, altro che democrazia in crisi. Probabilmente se non la democrazia, la politica in Italia è già andata in soffitta.