A distanza di due settimane dalla precedente analisi sulla crisi di Alitalia è opportuno ritornare sul tema per fare nuovamente il punto della situazione. Qual era il quadro di due settimane fa e cos’è cambiato da allora? Partiamo dal primo. In concomitanza col debutto del nuovo Governo il caso Alitalia era finito, e resta tuttora, in un impasse totale. L’amministrazione straordinaria di Alitalia, gestita dal Commissario Leogrande, non è in grado, se non nel brevissimo periodo, forse due mesi, di proseguire le attività di volo perché non è in grado di coprire le spese d’esercizio con i relativi ricavi, considerando in essi sia gli scarsi ricavi da mercato generati dai pochi viaggiatori, sia i ristori Covid, autorizzati con molte difficoltà e solo ex post, sui dati di consuntivo, dalla Commissione Ue, a fronte invece di considerevoli aiuti, approvati ex ante e con grande facilità, per i maggiori vettori europei.
Il livello di traffico è infatti rimasto scarsissimo, in Italia come in Europa, in inizio d’anno e il calo dei passeggeri resta molto maggiore del calo dei voli, abbassando il tasso di riempimento degli aerei e impattando i ricavi in misura assai più consistente dei costi. Come infatti si desume dai tassi di riduzione illustrati nella slide seguente, di fonte Assaeroporti, in gennaio i voli sui cieli italiani sono stati solo il 30% di quelli di un anno fa, ma i passeggeri solo il 13%, determinando un più che dimezzamento del load factor. In gennaio, considerando tutti i vettori vi sono stati in media solo 48 passeggeri per volo contro i 111 dello stesso mese del 2019.
Altra considerazione importante, l’unico segmento sul quale vi è stato un po’ di traffico è quello domestico, mentre i viaggiatori sui voli internazionali, sia infra Ue che extra Ue, sono risultati irrisori, come illustrato nella slide seguente di Assaeroporti.
L’amministrazione straordinaria non è pertanto in grado di proseguire i voli se non grazie a un finanziamento consistente dello Stato, almeno 200 milioni per coprire un semestre di attività. Questo finanziamento, avente necessariamente la medesima natura dei prestiti ponte di 900 milioni concessi nel 2017 e di 400 milioni stabilito nel 2019, non può tuttavia essere erogato alla vigilia della decisione europea dato che essa, con quasi assoluta certezza, dichiarerà i finanziamenti precedenti incompatibili con le regole comunitarie e chiederà allo Stato italiano di recuperarli. Nello stesso tempo la newco ITA non è in grado di avviare i voli perché non possiede gli asset necessari, aerei, personale e organizzazione, che tuttavia la gestione commissariale non le può trasferire senza il via libera dell’Unione europea. E l’Ue ha sinora richiesto una gara aperta su basi paritetiche a tutti i potenziali interessati e separata per i distinti compendi aziendali, relativi almeno ad aviation, handling e manutenzioni se non a disaggregazioni più spinte. Non risulta che la Direzione Concorrenza dell’Ue abbia mai cambiato decisione in passato, rovesciando un suo orientamento. Una gara di questo tipo richiede almeno cinque o sei mesi per essere completata, lo stesso tempo necessario affinché ITA possa conseguire dall’Enac la licenza di operatore aereo e il Coa. Chi vola in questi sei mesi?
Questo era il quadro di due settimane fa ed esso è rimasto invariato. I fatti nuovi emersi nei giorni scorsi sono essenzialmente tre: i) manifestazioni sindacali dei lavoratori, preoccupati per l’aggravarsi della situazione; ii) il fatto che Alitalia non sia riuscita a pagare gli stipendi alla data prevista, ma abbia dovuto ritardarli di alcuni giorni, segno di crescenti tensioni di cassa; iii) un primo vertice dei ministri che hanno competenza sul dossier al termine del quale è stato comunicata l’intenzione di “portare avanti il progetto ITA” e “la volontà di confermare un vettore nazionale del trasporto aereo”. Come si pensa di realizzare questi obiettivi non è stato indicato, tuttavia sappiamo quanto sia complesso. In ogni caso con questa dichiarazione sembra uscire di scena definitivamente l’ipotesi tanto cara ai liberisti seguaci di von Hayek di lasciar fare al mercato e di non spendere più soldi per Alitalia. Intanto si possono non spendere più soldi per Alitalia solo se si è disponibili a spendere molti più soldi per tutelare i dipendenti di Alitalia che rimarrebbero senza lavoro, come abbiamo detto più volte e com’è stato ampiamente dimostrato con il ridimensionamento aziendale attuato nel 2009. È stato un tipico argomento di Keynes sostenere come il libero mercato sia molto costoso per lo Stato nella fasi recessive: non solo esso deve rinunciare a importanti entrate fiscali, ma sborsare anche rilevanti indennità di disoccupazione.
Inoltre, qui non siamo di fronte a un caso di ostacolo al “laissez faire”, nel quale i vincoli pubblici complicherebbero e intralcerebbero l’offerta privata di servizi. È esattamente il contrario, in assenza di intervento pubblico saremmo di fronte a un caso di “laissez non faire”: il mercato non sarebbe servito adeguatamente da operatori privati autointeressati. E se è vero, come direbbe Hayek, che nel lungo periodo la possibilità di voli profittevoli sarebbe in grado di attrarre un numero sufficiente di operatori, questa certezza appare di assai magra consolazione per chi intende volare a breve, una volta superata con le vaccinazioni l’emergenza Covid, per ragioni di lavoro, personali o di vacanza.
Se ai fini della continuità dei voli e di quella degli stipendi dei dipendenti di Alitalia è il breve periodo che conta, e in esso deve essere trovata la soluzione che permetta il passaggio degli asset a una newco, per quanto riguarda invece i conti di questa nuova compagnia e la sua sostenibilità economico-finanziaria l’ottica deve essere necessariamente di lungo periodo. Al contribuente-viaggiatore interessa infatti continuare a viaggiare già nel breve periodo, disponendo di un’offerta adeguata a prezzi ragionevoli, e interessa non perdere soldi nel medio-lungo. Il progetto della newco ITA è in grado di conseguire questo secondo obiettivo?
Il piano industriale, presentato alle competenti commissioni parlamentari e all’Ue sostiene questo, tuttavia la Commissione ha mostrato scetticismo in numerosi punti nella sua lettera dell’8 gennaio scorso al governo italiano. Ma il fattore chiave, al di là delle singole obiezioni specifiche della Direzione Concorrenza, è rappresentato ad avviso di chi scrive dalle dimensioni aziendali. La newco ITA nascerebbe infatti molto piccola, con poco più di una cinquantina di aerei al decollo (ma si è letto anche di soli quaranta), destinati forse a crescere nel tempo. Essi sono meno della metà della flotta attuale di Alitalia, meno di un terzo dell’Alitalia-CAI che decollò nel 2009 e poco più di un quinto dell’Alitalia più AirOne del 2008 che vennero aggregate dai “capitani coraggiosi”. Esse avevano complessivamente più di 240 aerei in un mercato italiano di poco più di 100 milioni di passeggeri annui, nel quale vi trasportarono oltre 34 milioni di passeggeri. Oggi il progetto ITA è di una cinquantina di aerei in un mercato che nel 2019 ante-Covid aveva superato i 160 milioni di passeggeri.
Un vettore così piccolo può sopravvivere in un mercato così grande? La risposta è netta ed è negativa. In nessun mercato europeo esiste un vettore di tipo tradizionale che abbia una quota di mercato così ridotta come l’Alitalia attuale, figuriamoci come possa sopravvivere un vettore con la quota ancora più ristretta ipotizzata per la nuova ITA. Nella tabella sottostante sono riportati per l’ultimo anno disponibile ante-Covid i dati relativi al traffico passeggeri dei principali vettori tradizionali europei in relazione al traffico passeggeri totale del Paese di riferimento. In media i vettori network detenevano il 35% del loro mercato nazionale, con i valori massimi rappresentati dal 64% di Klm in Olanda e dal 48% di Lufthansa in Germania e quello minimo, se si esclude l’Italia, relativo al 23% di British Airways nel Regno Unito. Nell’insieme di tutti i Paesi considerati i vettori tradizionali hanno coperto il 46% del traffico passeggeri complessivo. Alitalia risulta in conseguenza un caso anomalo dato che controllava meno del 14% del mercato italiano. Si tratta di un valore troppo piccolo per garantire la sostenibilità economica del vettore, oltretutto previsto in ulteriore e netta riduzione nel piano industriale della NewCo.
Se Alitalia avesse dimensioni paragonabili agli altri vettori tradizionali europei che detengono la quota minore nel loro mercato nazionale dovrebbe essere in grado di trasportare almeno una quarantina di milioni di passeggeri all’anno, ovvero il doppio di quelli serviti nell’anno ante Covid. Pensare di volare trasportandone poco più della metà è un’illusione irragionevole, destinata a far perdere molti altri soldi ai cittadini italiani.