Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, ha comunicato che, da un test effettuato a Brescia esponendo la variante inglese al vaccino di persone protette col siero Pfizer/BioNTech, non solo la variante non è resistente al vaccino: il vaccino sembra anzi essere addirittura più efficace sulla variante che sul virus di Wuhan arrivato in Europa. Sempre a Brescia è stata isolata, per la prima volta, la variante nigeriana. Una svolta che permetterà di studiare la mutazione del virus e forse anche di testare l’efficacia del vaccino, come è stato fatto per la variante inglese. La campagna vaccinale intanto procede a rilento in Italia. Al 1° marzo risultano vaccinate circa 1 milione 400mila persone (due dosi), 3 milioni di persone (corrispondenti a poco più del 5% della popolazione) hanno ricevuto la prima dose. Quanto e come questi ritardi potranno avvantaggiare il virus? E cosa ci insegnano gli esempi virtuosi di Israele e Regno Unito? Lo abbiamo chiesto a Francesco Broccolo, docente di Microbiologia clinica nell’Università Milano-Bicocca specializzato in microbiologia e virologia.
Professore, a Brescia è stata isolata la variante nigeriana, è la prima volta in Italia. Quali le implicazioni?
La nigeriana non è nuova, era già stata identificata, al 20 febbraio erano risultati 9 campioni positivi in Italia. Il dato nuovo è che dal Sud si è spostata al Nord. Tenuto conto che in Italia stiamo sequenziando pochissimo, è probabile che ce ne sia molta di più di quella che abbiamo individuato.
Pare si sia riusciti proprio a isolarla.
Se è stata isolata allora significa che è stato coltivato questo virus mutato che prima non era stato coltivato, ma solo identificato e sequenziato. Se è così, sarà possibile valutare sulla variante coltivata l’efficacia degli anticorpi monoclonali e soprattutto dei sieri di soggetti vaccinati, per fare studi di neutralizzazione: vedere cioè se gli anticorpi presenti nel siero di soggetti vaccinati neutralizzano la variante con la stessa efficacia con cui neutralizzano il virus non mutato.
Come vengono realizzati questi studi?
Utilizzando appunto i sieri dei soggetti vaccinati. Nel siero dei soggetti vaccinati il vaccino ha evocato una risposta immunitaria che ha prodotto anticorpi neutralizzanti nei confronti del virus non mutato. Il vaccino, qualunque vaccino oggi disponibile, è fatto con proteina S non mutata. La domanda che ci facciamo è: i sieri presenti nei soggetti vaccinati neutralizzano anche il virus mutato? Per saperlo dobbiamo aver isolato il virus, in alternativa si va avanti con gli pseudo-virus, virus di laboratorio contenenti la proteina S mutata.
È possibile che ci sia proprio la variante nigeriana dietro l’aggravarsi, di nuovo, della situazione nel Bresciano?
Potrebbe, però attenzione a non continuare a fare sillogismi nella scienza. Rilevare un aumento dei tamponi positivi non necessariamente implica che questo aumento sia causato da una o più varianti o da quella di cui stiamo parlando. Non è un automatismo, potrebbe essere vero l’esatto opposto. Non diciamo che se c’è l’ondata è per la variante, è un errore che stiamo commettendo senza avere i dati per dirlo.
Il vaccino sembra aver confermato la sua efficacia sulla variante inglese. Potremmo scoprire lo stesso a proposito delle altre varianti?
Faccio fatica a commentare la notizia senza avere ancora i dati, però posso dire che se ciò fosse confermato con una pubblicazione scientifica sarebbe un dato eccezionale.
Perché?
Perché la variante inglese contiene mutazioni comuni alle altre varianti. Per esempio, ha la mutazione 501 che si trova anche nella brasiliana e nella sudafricana.
Quanto sta pesando la lentezza della campagna vaccinale? Il virus potrebbe riadattarsi per contagiare chi è già stato contagiato o vaccinato?
Su questo non c’è dubbio. Se non c’è il vaccino, ci sono più contagi, se ci sono più contagi ci sono più cicli replicativi. Le persone infette sono come serbatoi del virus. Più replicazioni del virus portano più mutazioni, più mutazioni portano alla selezione dei nuovi mutanti, mutazioni intelligenti per il virus che si chiamano, appunto, varianti. Ritardare la vaccinazione vuol dire quindi aumentare le varianti.
Questi ritardi danno un vantaggio al virus, permettendogli di schivare l’immunità data dai vaccini?
Se idealmente fossimo tutti in lockdown, il virus sarebbe destinato a essere estirpato, anche senza vaccini. È il contagio a dare vantaggio al virus, il virus più si replica più fa mutazioni. Le mutazioni sono nate in pazienti con infezione persistente e prolungata, pazienti immunodepressi che all’inizio dell’infezione avevano il virus e alla fine avevano un virus mutato. È questo che ha determinato la selezione dei mutanti. E poi sono nate dal meccanismo più semplice.
Cioè?
Quello di infettare più persone possibili. Poiché non si può pensare di vivere sempre in lockdown, è inevitabile che, senza i vaccini, ci saranno più contagi e il virus riuscirà a replicarsi contagiando. Per ogni soggetto che il virus infetta vengono prodotte nuove particelle, ogni persona produce virus, quindi più soggetti vengono infettati più virus viene prodotto, più mutazioni si accumulano. E nelle mutazioni casuali ce ne sono tante che non danno vantaggio al virus, però ce ne sono anche alcune che danno questo vantaggio. È lì che si creano le varianti.
Cosa ci insegnano gli esempi di Israele e Regno Unito?
Ci sono vari studi. Quello israeliano ci insegna che con la prima dose di vaccino sono state ridotte drasticamente non solo le morti e le ospedalizzazioni, ma anche le infezioni. La prima dose mostra – al momento lo abbiamo visto solo per Pfizer, per AstraZeneca non abbiamo ancora i dati – di essere in grado di bloccare non solo la malattia ma l’infezione nel 46% dei casi. La seconda dose la riduce del 92%.
Questo cosa ci suggerisce?
Tutti gli studi riportano come endpoint, come obiettivo, l’ospedalizzazione o la malattia grave. Va benissimo, è la priorità assoluta, ma i dati che stanno uscendo mostrano che il vaccino blocca anche l’infezione, già con la prima dose. Questo ci suggerisce che in assenza di dosi dobbiamo ricorrere al “vacciniamo tutti con la prima dose”: vacciniamo tutti il più possibile.
Cosa che noi non stiamo facendo.
Perché pensavamo che la prima dose fosse poco efficace, invece stiamo capendo che non è così. Johnson & Johnson, che è stato approvato da Fda, ha come strategia un’unica dose ed è un vaccino, di fatto, molto simile ad AstraZeneca. Ci sono anche dati che mostrano l’efficacia del vaccino eterologo: se col richiamo non ritrovo il vaccino della prima dose, posso utilizzarne un altro, ci sono molti dati a favore di questa strategia.
In ogni caso sempre meglio vaccinare, qualunque sia la strategia.
Assolutamente, si può discutere se farla in un modo o nell’altro, ma sostenere il contrario è pura follia. Tutti i dati mostrano che vaccinare riduce non solo i morti ma anche le ospedalizzazioni e ora – lo stiamo vedendo con lo studio d’Israele – persino l’infezione.
Israele ha fatto una scelta simile a quella del Regno Unito, di vaccinare tante persone con la prima dose e poi aspettare per la seconda?
Sì, con la differenza che si tratta di 8 milioni di persone. È vero, non li hanno vaccinati entro i 21 giorni, ma li hanno vaccinati comunque entro i 3 mesi, che sarebbe perfetto anche per l’Italia se avessimo le dosi. Anche dopo 3 mesi la risposta è ottima. Se non avessimo le varianti potremmo ragionare anche in altro modo, ma con le varianti che circolano così intensamente sul territorio direi che è urgentissimo dare subito la prima dose a tutti, almeno a tutti gli over 70.
Lo Sputnik e il vaccino Johnson & Johnson quando arriveranno da noi?
I dati di Sputnik sono molto buoni, Ema sta dialogando con le agenzie del farmaco russo. Anche per Johnson & Johnson i dati sono ottimi e, dopo l’approvazione di Fda, Ema a brevissimo dovrebbe approvare quest’altro vaccino.
Si parla di fine marzo.
Forse anche prima.
(Emanuela Giacca)