“L’esempio di Israele è molto significativo: hanno fatto un lockdown, ma hanno anche vaccinato con grande velocità. Se si fa solo un lockdown, si fa solo un’azione di contenimento, ma una volta che finisce, è una misura palliativa, non definitiva”. Davanti alla recrudescenza della terza ondata, scatenata dalla maggiore contagiosità delle varianti, è la ricetta che Roberto Cauda, professore di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore, propone per tagliare l’erba sotto i piedi al Covid-19. Visto, poi, che la variante inglese si diffonde soprattutto tra gli adolescenti, Cauda suggerisce anche di non trascurare la vaccinazione degli under 18: “Circolando tra i giovani, prima o poi il virus potrebbe dare qualche mutazione che potrebbe essere deleteria e provocare ulteriori ondate importanti”. E su questo tema potrebbe presto arrivare qualche novità: “Credo che sia partita una sperimentazione di vaccinazione in età pediatrica”.
L’Iss ha segnalato che l’indice Rt medio nazionale è a 1,06, per la prima volta sopra 1 dopo 7 settimane, e che l’epidemia accelera e peggiorerà. Cosa dobbiamo aspettarci?
I dati vanno nel senso di un peggioramento. Bisogna essere preparati. Ma è quasi inevitabile.
Perché?
Sono cambiate le regole del gioco da quando ha fatto la sua comparsa la variante inglese, che già nel Regno Unito da settembre ha provocato un numero notevole di casi: è più trasmissibile, soprattutto nelle fasce di età più giovani, che il virus prima della variante colpiva assai meno. Questo spiega l’aumento dei contagi nelle scuole con il rischio di immissione del Covid nei nuclei famigliari. È una situazione che tenderà a peggiorare nelle prossime settimane. Anche per l’Oms, nel suo ultimo report, dopo che nelle settimane precedenti aveva registrato una tendenza alla riduzione in 5 delle 6 aree in cui ha suddiviso il mondo, l’epidemia è ora in aumento in 4 delle 6 zone. In Europa l’incremento è del 9% e in Italia addirittura del 32%. Oggi siamo uno dei paesi in cui più circola il virus, a causa appunto dell’impatto delle varianti.
Le varianti sono come un nuovo virus?
Non è nuovo, il virus è sempre lo stesso. La comparsa di una variante gli dà un vantaggio biologico. Già durante la prima ondata, ma se ne è parlato poco, è comparsa una variante in Italia, la D614G, segnalata poi anche in Europa e Stati Uniti, che ha preso il sopravvento sul virus originario di Wuhan, comportando un aumento dei contagi. Le varianti sono numerosissime e in gran parte non portano a nulla, ma poi avvengono quelle mutazioni, che oggi sono 8 o 9, nello Spike in particolare, che danno un vantaggio al virus, rendendolo più affine con il nostro recettore Ace2: in buona sostanza, serve una minore quantità di virus per trasmettere l’infezione e questo spiega la maggiore contagiosità.
C’è chi dice che distanziamento e mascherine con le varianti funzionano meno. Come ci si può proteggere?
Per la variante inglese gli scienziati hanno proposto una distanza tra le persone di un metro e ottanta, quindi forse bisognerebbe portare il distanziamento sociale da un metro a due metri. La mascherina, se correttamente utilizzata, protegge ancora allo stesso modo. La mascherina va utilizzata come misura di contenimento, perché questa è un’infezione che non consente distrazioni.
Le vaccinazioni procedono a rilento. Per velocizzarle c’è chi propone di vaccinare negli ospedali tutti i pazienti che vengono ricoverati per qualsiasi patologia o per una visita. È una proposta condivisibile e fattibile?
L’attuale situazione può migliorare solo con le vaccinazioni. L’esempio di Israele è molto significativo: hanno fatto un lockdown, ma hanno anche vaccinato con grande velocità. Se si fa solo un lockdown, si fa solo un’azione di contenimento, ma una volta che finisce, è una misura palliativa, non definitiva. Detto questo, non è importante il luogo in cui si vaccina, l’importante è vaccinare, vaccinare, vaccinare.
Ma c’è il collo di bottiglia dell’approvvigionamento…
Era prevedibile: di fronte a campagne vaccinali che coinvolgono miliardi di persone, sono ancora poche le dosi prodotte. Adesso si stanno vaccinando, di fatto, l’Europa, l’Asia e le Americhe, ma non dobbiamo dimenticarci che va immunizzata tutta la popolazione mondiale, altrimenti succede che le varianti continueranno a comparire. L’unico modo per bloccare le mutazioni – più si replica, più il virus ha la possibilità di generare varianti – è togliere terreno al Covid, che così potrà colpire un numero sempre minore di individui.
La variante inglese è molto diffusa tra gli adolescenti. Andrebbero vaccinati anche loro?
Questo può essere un grande problema di sanità pubblica, che è stato sollevato dalla rivista Science e penso che tra qualche settimana avremo anche la risposta. Oggi vacciniamo solo i soggetti al di sopra dei 18 anni, con il rischio di avere un serbatoio che renderebbe il virus endemico nella fascia degli under 18. Circolando tra i giovani, il virus prima o poi potrebbe dare qualche mutazione che potrebbe essere deleteria e provocare ulteriori ondate importanti e chi è stato vaccinato con i vecchi sieri potrebbe magari ritrovarsi scoperto. Bisogna quindi cercare di vaccinare i bambini. E credo che sia partita una sperimentazione di vaccinazione in età pediatrica.
Il governo ha deciso di investire 1,4 miliardi per i vaccini e 700 milioni per i farmaci, soprattutto il Remdesivir e gli anticorpi monoclonali. Con più vaccini, più Remdesivir e più anticorpi monoclonali costruiamo una “linea del Piave” contro le offensive del virus e delle sue varianti?
Questa malattia per l’80% dei casi decorre in maniera poco grave. Anche se il Remdesivir in alcuni trial si è dimostrato inferiore alle aspettative, è chiaro che con vaccini, Remdesivir e anticorpi monoclonali si va a creare questa che lei giustamente definisce “linea del Piave”, che ha due fronti: da un lato, curare chi si ammala e, dall’altro, impedire che la gente si ammali.
(Marco Biscella)