Dal 5G all’intelligenza artificiale il passo è breve, soprattutto se un rapporto o una commissione di inchiesta lo definisce un ambito strategico economico e per la sicurezza nazionale. Il risultato è che se Trump ha combattuto con la Cina la guerra commerciale della nuova rete di trasmissione voce/dati, Biden si trova ad affrontare il Dragone sul terreno dell’intelligenza artificiale, che sembra abbia sorpassato o sia prossimo a farlo gli Stati Uniti nelle ricerche sugli algoritmi più o meno intelligenti.
Si torna così a parlare di cyberwar: in realtà è improprio perché si tratta di una guerra commerciale e politica. La prima è evidente perché se il 5G consentiva il controllo sulla trasmissione di dati, il primato nell’intelligenza artificiale permette di dominare la conoscenza che da essi deriva. Una posizione che nell’economia contemporanea fa la differenza tra vincere e fallire. La seconda è il riprodursi delle dinamiche dell’inevitabile scontro tra potenze che, come la storia ci insegna, sono impossibilitate a convivere in modo completamente pacifico.
Tuttavia esiste un terzo elemento direttamente legato a quest’ultima considerazione. In una futuribile guerra cibernetica le intelligenze artificiali giocheranno un ruolo fondamentale. Da un lato gestiranno armamenti cinetici estremamente complessi con una precisione e una velocità fuori dalla portata di un essere umano. Dall’altro si scontreranno sulla rete globale producendo malware sempre più sofisticati, ricercando vulnerabilità nei sistemi del nemico e depistando le intelligence avversarie con false informazioni e il deepfake. In qualche modo si tratta ancora una volta di una corsa agli armamenti, anche se nel presente caso i missili nucleari e i carri armati non sono sempre riconoscibili come tali.
Dal mio punto di vista, rispetto al passato, questa volta esiste una grande incognita, ovvero quale sarà l’atteggiamento in questa situazione di tensione delle altre superpotenze, quelle non riconosciute come tali dal diritto, e mi riferisco ai vari Google, Amazon, Apple e via dicendo. Ma soprattutto a che punto sono questi soggetti nella ricerca nell’ambito dell’intelligenza artificiale? Vero che sono tutte targate Usa, ma sempre più spesso si ha la sensazione che tendano a posizionarsi al di fuori dei normali schemi politici. In altre parole, penso che nessuno di tali operatori senta realmente di “appartenere” a una nazione, quanto piuttosto di essere esso stesso una nazione.
— — — —