Una principessa discriminata, oh my God. E che pronuncia la parola maledetta, “racisme”, da far drizzare i capelli a tutto il carrozzone ispirato dal politically correct dello star system Usa. Cinema, musica, deputati e dem, intellettuali, eccetera. Nella giornata della donna, poi.
Una povera ragazza sull’orlo del suicidio trascurata e negletta, in attesa di un bimbo su cui incautamente qualcuno ha provato a chiedersi: avrà la pelle chiara o scura come la mamma? Dovrebbero essere indagati per apologia del razzismo tutti i reparti nido del mondo, dati i commenti dei parenti davanti alle culle sotto vetro.
Una ragazza che non sapeva neppure i titoli del consorte, neanche un giretto su Wikipedia, o che ci si dovesse inchinare davanti alla regina, che è anche un capo religioso, guarda un po’. Mezzo mondo, italiani compresi, a discutere su una coppia di privilegiati che non ha mai lavorato, che ha scelto di andarsene dal proprio paese col malloppo e pretende di mantenere titoli e plauso dei sudditi. Non è unpolitically correct la parola sudditi? E mentre la favola della Cenerentola in vena di notorietà, che non ha mai fatto la sguattera ma maltrattava gli sguatteri, andava in scena, festeggiavamo con accresciuta retorica la libertà delle donne, come se Meghan fosse una pasionaria per la causa. Contemporaneamente, non dico interessarsi delle ragazze yazide, delle donne arabe costrette sotto veli neri, ma almeno porre l’occhio e la mente a una nostra campionessa, sotto giudizio per essere rimasta incinta e aver causato danni alla società di pallavolo per cui giocava. Lei sì, col coraggio di denunciare un’ingiustizia, è la testimonial di tutte le donne trascurate, neglette, obbligate alla scelta più drammatica, un figlio o il lavoro.
Sono tante, sono le nostre madri, figlie e sorelle, che non hanno neanche la possibilità di un titolo di giornale, né suscitano il dovuto sdegno delle femministe, tiepide in realtà, perché forse per loro la maternità resta un impiccio, un intoppo, e tutto sommato questa pervicacia ad affermare il diritto a viverla una scelta opinabile. Lara Lugli e il suo grido devono accendere indignazione, devono essere l’argomento dei social, dei talk e delle nostre chiacchiere quotidiane. Non Meghan.
Difendere la femminilità, di cui la maternità è il carattere precipuo e di cui essere orgogliosi la vera battaglia. Le donne vere devono ancora scontrarsi con il loro corpo, che anche mentre pulsa di vita è d’ingombro. Ieri sera su Rai1 un omaggio alla cantante più folle, la Bertè. Tra i suoi eccessi, la sua performance in un lontano Sanremo col pancione, per dire che avere un figlio non è un problema da nascondere, ma una cosa bella, da amare, tutelare, guardare con ammirazione e tenerezza. Di tempo ne è passato, con tanti, troppi passi indietro.
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