Mercoledì sera il Parlamento americano ha approvato uno stimolo da 1.900 miliardi di dollari per sostenere l’economia colpita dalla pandemia. Il pacchetto si concentra su assegni corrisposti direttamente sui conti correnti delle famiglie americane, sussidi alla disoccupazione e finanziamenti per le scuole e la distribuzione dei vaccini. I contributi alle famiglie includono un assegno da 1.400 dollari, un’estensione del contributo alla disoccupazione per 300 dollari al mese e un allargamento degli sgravi fiscali per le famiglie con figli. Questo è il secondo pacchetto approvato dal Parlamento americano dopo quello varato sotto l’Amministrazione Trump. Biden sta valutando un altro pacchetto di spesa che questa volta sarà sulle “infrastrutture” e il “cambiamento climatico” e che verrà definito e approvato nei prossimi mesi.
Sull’opportunità di promuovere grandi investimenti in “infrastrutture” e “cambiamento climatico” si possono nutrire opinioni diverse, ma è certo che gli effetti di queste decisioni sull’economia non si vedono nel breve termine perché, anche in sistemi con una burocrazia efficiente, servono almeno diversi trimestri per passare ai “cantieri” e poi anni prima che i benefici delle opere concluse possano avere effetti sull’economia. Privilegiare gli “investimenti” può certamente avere effetti positivi, ma non risolve i problemi di breve periodo che durano ormai da quattro trimestri e che ci accompagneranno ancora per molti mesi. Una percentuale di lavoratori compresa tra il 10% e il 20%, a seconda dei Paesi, dei lavoratori in Europa (escluse le società finanziarie), secondo una ricerca della banca centrale europea pubblicata sul Financial Times, lavorano per imprese a rischio fallimento. Per questa categoria di persone gli investimenti in infrastrutture e rinnovabili non sono una soluzione se non nel lungo periodo, sempre ammesso che sia ipotizzabile che un cameriere possa ricollocarsi come saldatore o installatore di pale eoliche.
All’interno di questa ampia fetta di lavoratori privati ci sono anche occupati che lavorano per imprese che potrebbero continuare a esistere, in un mondo post-Covid, se la spesa pubblica fosse decisa non sulla base di scelte prese da “tecnici e scienziati”, ma con erogazioni a pioggia che sono sicuramente più “democratiche”. Tutto il dibattito attuale, soprattutto in Europa, si basa sull’assunto non dimostrato che una categoria di super tecnici ed economisti abbia le idee giuste per decidere quali settori devono morire, quali possono sopravvivere e quali devono espandersi. Un’indagine non ideologica invece dimostra che queste decisioni non si basano su formule “matematiche” asettiche inaccessibili ai più che determinano univocamente la migliore allocazione, ma su pure preferenze politiche.
Non c’è alcuna evidenza che una nuova autostrada o ferrovia pronta tra cinque anni, se va bene, faccia meglio all’economia che salvare decine di migliaia di piccole imprese nel frattempo; lo stesso si può dire per le rinnovabili, per il salvataggio massiccio delle compagnie aree, in tutta Europa, o per la salvaguardia assoluta non solo dei livelli occupazionali nel pubblico ma anche dei salari che, soprattutto in un contesto di inflazione, comporta enormi fratture all’interno della società. Queste non sono decisioni “matematiche” o “economiche”, una scienza inesatta per definizione, ma puramente politiche. Gli “economisti” o i “tecnici” possono esprimere, in un clima fortemente ideologico come l’attuale, preferenze politiche che attuano dall’alto verso il basso e che risultano in investimenti in settori a bassa produttività.
Gli aiuti a pioggia americani, con due pacchetti fatti sotto Trump e Biden, vengono guardati con sdegno, ma sono infinitamente più “democratici” e lasciano i soldi in mano “al mercato” e “alle famiglie” pur con tutte le storture che si possono produrre. Col nuovo pacchetto Biden seguirà la via “europea”; è un grande rischio perché vuol dire in un orizzonte temporale di breve medio periodo penalizzare il consumatore americano. L’Europa però vive di export e dal fallimento di Lehman è lecito chiedersi cosa sarebbe successo all’economia europea senza “l’irresponsabilità” americana e una politica economica che comunque ha privilegiato la salvaguardia del consumatore americano. A beneficio, certamente, dell’economia americana, ma anche, e tanto, di quella europea.
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