Dalle bozze del Recovery Plan emergono i primi contenuti che testimoniano un metodo di lavoro molto inusuale per la gestione dello Stato. Analisi, proposte e fondi sono illustrati con specifici punti di controllo e con budget definiti. Non libri dei sogni, ma dati puntuali descrivono gli interventi. Nel merito molto ci sarà da approfondire e sembra chiaro che lo sviluppo del Paese seguirà con forza la strada della digitalizzazione, della transizione ecologica ed in generale di ammodernamento infrastrutturale.
I capitoli più corposi sono dedicati alle opere pubbliche necessarie a recuperare i gap infrastrutturali ed un capitolo a parte, specifico, è destinato ai progetti speciali per la coesione territoriale. Si cita testualmente che, ad esempio, la spesa pro capite dei comuni per i servizi socio-educativi, destinata ai bambini di età compresa tra i 0 e i 2 anni, è di 1.468 euro nelle regioni centrali, di 1.255 euro nel Nord-Est, per poi scendere a soli 277 euro nelle regioni meridionali. La mancanza di sviluppo economico e la disoccupazione portano a tendenze demografiche negative, a cattive condizioni del mercato del lavoro, a mancanza di servizi di qualità, tutti fattori che indeboliscono le prospettive di crescita di queste zone, provocando lo spopolamento del Sud e delle zone rurali.
La strategia per le aree meridionali, interne e insulari prende atto che queste sono tra le aree maggiormente colpite dai cambiamenti climatici e dal processo di emarginazione sociale e territoriale connesso all’attuale modello di sviluppo. È essenziale, si ribadisce, promuovere azioni volte a realizzare una transizione ecologica equa. Per far ciò, inoltre, si ritiene fondamentale promuovere le migliori pratiche nel campo dell’economia circolare. Ad esempio promuovendo, in particolare nelle regioni meridionali, il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
Al di là della coerenza delle misure che andrà approfondita, la dotazione prevista è di circa 4 miliardi di euro, di cui gran parte sono destinati al recupero del gap nelle 72 aree interne individuate, con misure di supporto agli enti locali, circa 300 milioni sono destinati al recupero dei beni confiscati alla criminalità organizzata, oggi nelle mani degli enti locali, e circa 600 milioni alla creazione di Ecosistemi dell’innovazione nel Mezzogiorno. Di questi 480 milioni saranno destinati alla creazione di 8 ecosistemi distinti con un investimento di 60 milioni per ogni intervento, la procedura prevede di individuare i siti ed operare gli interventi sotto il coordinamento del Miur.
Per i beni confiscati, 300 milioni, la procedura è molto complessa, forse troppo. Si parte da un accordo di programma tra le diverse agenzie coinvolte e le Regioni obiettivo, ad un bando aperto ad enti locali e associazioni no-profit per arrivare ad un’assegnazione delle risorse, in pratica a a pioggia, ai destinatari che dovranno ristrutturare i beni per destinarli alle famose “esigenze sociali” (che troppo spesso non sono altro che il reddito dei proponenti).
I due temi si incrociano, o potrebbero incrociarsi, se si pensa ad un progetto unico che favorisca la nascita di un centro di eccellenza per la promozione e lo studio delle migliori pratiche di contrasto alla criminalità e di formazione di tecnologie e professionisti della legalità, integrando scienze tecniche e conoscenze umanistiche per costruire nel Mezzogiorno un’eccellenza di formazione e ricerca spendibile come asset anche in contesti diversi che affrontano l’aggressione della criminalità. È il caso delle tecnologie informatiche di contrasto al riciclaggio, della robotica al servizio della sicurezza, delle tecnologie di sorveglianza ed analisi dei fenomeni criminali, tecnologie che ora si stanno sviluppando in modo caotico e disordinato in mani private e senza alcuna visione di insieme scientifica o organizzata.
Il fenomeno criminale ha fortemente caratterizzato il territorio del meridione del Paese e ne ha condizionato lo sviluppo basandosi su di un’innegabile capacità dei consessi criminali che hanno letteralmente inventato i moderni metodi di diffusione e gestione della criminalità. Sarebbe un bel segnale promuovere un’eccellenza europea, e quindi mondiale, in grado di partire da queste esperienze per ripartire. Ci sono nuovi strumenti e nuove conoscenze da costruire e non è un tema solo italiano. Le attenzioni, ad esempio, che il sistema normativo europeo pone sul riciclaggio, sulla privacy dei cittadini spiati e aggrediti dai crimini informatici, sulla sicurezza che sconfina, limitando le nostre libertà, e i sistemi fisici ed informatici utili a questo obbiettivo rappresentano sia un’occasione di sviluppo di competenze che già esistono sul territorio, sia un mercato aperto in tante aree dell’Europa e del mondo.
Costruire nel Mezzogiorno unendo le risorse disponibili, ad esempio in uno dei templi della criminalità confiscato a un boss, un centro di eccellenza dedicato alle tecnologie per la sicurezza fisica ed informatica con accanto una forte componente di elaborazione di contenuti e analisi dei contesti sociali e giuridici, il tutto finalizzato a produrre sistemi di contrasto a grandi fenomeni criminali, sarebbe un segnale di grande importanza e di attenzione del Paese per il Mezzogiorno ed un modo per rendere le competenze sviluppate in un contesto difficile una risorsa produttiva.
Diversamente, il rischio (in questo come in altri casi) è di spendere denari per rinfrescare le mura di qualche appartamento (i beni confiscati censiti sono diverse decine di migliaia) ed aprire i cordoni della borsa per progetti minimi (ogni ente coinvolto vorrà la sua fetta) con operazioni che non lasciano alcun segno dopo l’esaurimento dei fondi.
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