L’impatto della terza ondata virale combinato con i ritardi nella vaccinazione di massa in Italia e nell’Ue – che però sta accelerando – aumentano il fabbisogno di sostegni d’emergenza per i settori colpiti dai blocchi precauzionali delle attività. Tali sostegni non riguardano solo una cifra in più per l’Italia, per esempio un extra-deficit di 25-30 miliardi (stima dello scrivente) da aggiungere a quello già previsto a gennaio di 32, ma, soprattutto, una precisazione e revisione del modello per come far uscire l’economia italiana dalla crisi.
Per esempio, è probabile che una certa quantità di aziende non potrà ricominciare i pagamenti sospesi dalle moratorie così come altre non potranno ripagare i prestiti garantiti dallo Stato. Inoltre, la protezione dei lavoratori potrà richiedere tempi più lunghi di sostegno. Da un lato, in teoria, non è un grosso problema perché la crisi non ha distrutto il mercato: lo ha solo bloccato per un certo tempo e la fine dei blocchi inizia a essere calcolabile. Pertanto si tratta, “semplicemente”, di definire un finanziamento ponte adeguato. Dall’altro, l’adeguatezza potrebbe richiedere una massa maggiore di debiti acquistati dalla Bce, per permettere agli Stati di fare più deficit senza destabilizzare l’Eurozona, e una quantità maggiore dei fondi euro-garantiti ora previsti.
Qui si cominciano a vedere possibili problemi. La Bce non ha voluto precisare, per pressione rigorista tedesca, l’estensione della quantità di debito acquistabile. Si nota poi una reticenza dell’Ue ad aumentare i fondi, considerando che l’America ha stanziato 2.000 miliardi di dollari mentre l’Ue resta ben sotto i mille. E non è ancora chiaro fino a quando durerà la sospensione del divieto degli aiuti di Stato alle imprese, calcolando che all’Italia, e non solo, servirebbe almeno fino al 2024. È evidente la priorità di un chiarimento europeo.
Fiducia? l’Italia è guidata da un premier che ha l’esperienza per farlo.