Questa settimana si apre, per utilizzare una parafrasi musicale, in “la minore”, tonalità triste per eccellenza: dopo alcune settimane in cui si è sperato che grazie alle vaccinazioni si stesse per uscire dall’incubo del virus che ci tormenta da oltre un anno e si potesse tornare a normalità, l’imperversare della “varianti” ha portato due terzi del Paese a nuove restrizioni. Uno sguardo a worldometer, mostra che al 12 marzo, su 221 Stati censiti, l’Italia è l’ottava in termini di diffusione e gravità del coronavirus (vengono utilizzati una varietà di indicatori per giungere a un indice composito).
Al tempo stesso, ci sono segni, o meglio suggerimenti, di allegria; sempre in termini musicali, dei “do”, che potrebbero facilmente diventare “do maggiore”. Da un lato, l’Interim Economic Outlook dell’Ocse ha presentato un quadro positivo di ripresa dell’economia occidentale in generale e di quella italiana in particolare. Alcune testate, i cui titoli vengono scritti da persone poche esperte in statistica, hanno addirittura “gonfiato” il dato delle previsioni Ocse relative all’Italia facendolo apparire maggiore di quello che è. Da un altro, l’avvicinarsi della operatività della Recovery and Resilience Facility del Next Generation Eu e, soprattutto, il varo, negli Stati Uniti del “Piano Biden”, ossia di un’iniezione, con un solo colpo, di 1.900 miliardi di dollari nell’economia induce a sperare che l’America del Nord riprenda il ruolo di locomotiva dell’economia, se non mondiale, almeno occidentale.
È bene soffermarsi su questa seconda componente in quanto è senza dubbio la più importante in quanto alla manovra di bilancio di 1.900 miliardi di dollari occorre aggiungere 2,5 miliardi di dollari che quest’anno il Tesoro e la Federal Reserve inietteranno nel sistema bancario. Somme mai viste, e mai concepite, in rapporto al Pil, neanche ai tempi del New Deal rooseveltiano. Si pensi che, a titolo di confronto, la Recovery and Resilience Facility prevede per l’Italia 30 miliardi di euro l’anno, per sei anni.
Riserviamoci di esaminare in un prossimo articolo le implicazioni del “Piano Biden” sui mercati finanziari. Soffermiamoci ora sulla manovra di bilancio che, per le sue dimensioni, non potrà non avere – come sottolineato su un’altra testata – ramificazioni sulle economie reali europee in generale e su quella italiana in particolare, soprattutto se, sedati i rischi di una “guerra commerciale” attraverso l’Atlantico, ci si avvia verso un vasta zona di libero scambio tra Nord America e Unione Europea.
A differenza del Next Generation Eu, che guarda al medio e lungo termine ed è imperniato su riforme strutturali (e investimenti a supporto di tali riforme), il “Piano Biden” punta a una ripresa rapida stimolata dall’aumento dei consumi. Il Governo americano, in breve, vuole stupire il mondo e mostrare che con la sua guida gli Stati Uniti possono fare quel “gran balzo in avanti” promesso, senza successo, da chi lo ha preceduto.
L’enfasi sui consumi, e sul supporto direttamente alle famiglie (specialmente a quelle del ceto-medio basso) è la sua leva e la sua chiave di riuscita ma anche il suo limite. Non tiene adeguatamente in conto che durante la pandemia le famiglie americane (un aggregato che include tutte le fasce di reddito) hanno accumulato 1.600 miliardi di risparmi addizionale sia perché (non potendo andare a cinema, teatri, ristoranti, vacanze) hanno modificato il loro paniere di consumi, sia perché hanno tesaurizzato per timore di perdita del lavoro e di reddito. Un potenziale di spesa impressionante non appena la ripresa economica parte e si consolida.
Ciò fa temere ad economisti autorevoli – Blanchard, Krugman, Summers – che il “Piano Biden” scatenerà una nuova ondata d’inflazione che dagli Usa contagerà il resto del mondo. Credo che in questi anni la Federal Reserve ha dato ottima prova di sapere impiegare prontamente la leva monetaria in caso di esigenza. Si potrà, quindi, evitare una nuova “euforia irrazionale” (così la definì Robert Shiller) come quella di quindici anni fa.
Il rischio per l’Europa e per l’Italia è un altro. Il “Piano Biden” mira al breve termine e anche i suoi effetti sull’Europa saranno di breve periodo. Se il piano vaccinale va in porto come previsto, il 2022 sarà un anno di ripresa sostanziale anche nel continente vecchio: lo suggeriscono già i dati sulla produzione industriale – pure in Italia. Agli stimoli che potremmo chiamare “autoctoni” si aggiungono, tramite l’export e non solo, gli impulsi che proverranno dal “Piano Biden”. Ne conseguirebbe una “euforia del tutto razionale”: ritorno a ristoranti, cinema, teatri viaggi, acquisti di abiti nuovi e via discorrendo. Ciò potrebbe ritardare, o quanto meno rallentare, urgenti riforme. E riportarci sulla strada della stagnazione secolare e del declino.
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