Il Papa e la bolla del Covid

Il papa ha messo in guardia contro un rischio: quello che il Covid ci lasci peggiori di prima. Per cambiare occorre cambiare noi per primi

“Teniamo bene a mente che c’è qualcosa di peggio di questa crisi: il dramma di sprecarla. Da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori, o usciamo peggiori”. Sono parole del papa, apparse ieri sul quotidiano La Stampa, nell’anticipazione di alcune pagine del libro intervista con Domenico Agassi di imminente uscita. “Il mondo non sarà più come prima”, avverte ancora Francesco.



Non perché è il papa, ma il monito va preso in attentissima considerazione. Perché dopo un anno di Covid, è vero o non è vero che sotto sotto siamo ancora qui che non vediamo l’ora di chiudere la (lunga) parentesi e di uscirne uguali, in un mondo tornato ad essere come prima? D’accordo, non tutti, non sempre; non facciamo d’ogni erba un fascio. Ma…



Ma allora cosa ci fa tutta quella gente a far roccolo, possibilmente sulla soglia di un bar, con le mascherine bisunte calate sotto il mento a proteggere la gola? Dappertutto, e di tutte le età, non solo nelle ovvie cartoline delle movide o dei Navigli di Milano. Come se toccasse sempre ad altri risolvere e a noi non fosse chiesto di cambiare comportamenti, cioè di educarci al senso dell’altro? Può sembrare un dettaglio: no, è un indizio eloquente del non voler cambiare nulla.

Ancora il papa: “Non bastano gli interventi per risolvere le emergenze… Occorrono scelte sagge e lungimiranti”. Giusto. Sicché uno si chiede: va bene cercare di salvare tutto, estetiste, palestre, piscine, bar, discoteche, aperitivi, apericene, brunch… Ma cosa si è fatto per salvare la scuola? Gli ambienti scolastici, grazie all’attenzione scrupolosa con cui sono gestiti i movimenti degli alunni, sono tra i più sicuri che esistano in Italia. Ma le aule sono le prime ad essere chiuse. La promiscuità con il connesso rischio di contagio avviene fuori dalla scuola: quando gli studenti sono sui mezzi di trasporto pubblico o in giro a cazzeggiare, quando la scuola è chiusa. La didattica a distanza non è certo da demonizzare, ma neanche da far finta che non ci si smeni niente. Chiaro che i problemi sono complessi e non si risolvono né schioccando le dita né applicando le rotelle ai banchi. Ma in un anno si sarebbe dovuto pensare a modificare e potenziare i trasporti e a studiare altre misure “sagge e lungimiranti”. O no?



Un altro grande tema di riflessione e di cambiamento riguarda la povertà: che continua ad aumentare. Attenzione: che cos’è la povertà lo sa chi il povero lo incontra, cerca di condividere qualcosa di sé con lui; non chi gira la testa da un’altra parte. Il fatto è che non sarà possibile mantenere nel futuro prossimo un welfare, uno Stato del benessere, decente senza una diffusa amicizia sociale, fatta di iniziative solidali e dinamiche sussidiarie e stili di vita più accorti.

Questi fatti esemplificano il rischio che corriamo, di illuderci di ricostituire la “bolla” in cui ci eravamo rinchiusi, illudendoci di tenere a bada la realtà e stare al sicuro. Il vaccino sconfiggerà questo virus. Ma non ci permetterà di ricrearci una comfort zone, almeno non lo permetterà alla maggior parte della gente.

Conviene dunque riavvolgere il nastro. Fermarci un momento a riflettere, come un anno fa. Renderci conto della fragilità strutturale di cui siamo fatti, del bisogno di una vera compagnia umana (prima che di aperitivi e psicofarmaci) per vivere da uomini la realtà; bisogno anche di riferimenti autorevoli e credibili che ci aiutino, tra l’altro, a guarire da due mali apparentemente opposti ma invece complici che facilmente ci affliggono: l’essere insieme diffidenti di tutti e di tutto (cultura del sospetto) e boccaloni sui social (cultura del fideismo rispetto alla cattiva informazione che viaggia soprattutto via internet: una cosa è vera se conferma quello che ci piace già pensare).

Conviene riavvolgere il nastro per ricominciare a guardare persone ed esperienze che documentino una positività in atto. Non solo medici, volontari, gente qualunque. Magari anche politici seriamente orientati al bene comune, scienziati che dicono la verità senza reticenze, operatori dei mass media che affermino uno stile di reale comunicazione e di ascolto.  Esistono? Guardiamoci in giro. Comincia dallo sguardo l’esercizio della ragione e del giudizio.

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