Ci siamo resi conto immediatamente, all’insorgere dell’attuale pandemia e della sua incontenibile diffusione anche nel continente, europeo che la cosa era di gravità epocale e che i danni prodotti dalla perdita di buona parte dei progressi maturati negli ultimi decenni sarebbero stati immensi e dolorosi.
Voci che minimizzavano non hanno tardato a farsi sentire: prime tra tutti quella dell’allora presidente USA, Donald Trump; a del presidente del Brasile, Jair Bolsonaro: voci peraltro dissonanti e immediatamente recepite come di parte politica. Anche il premier della Gran Bretagna – Boris Johnson, tuttora in carica – se n’è uscito un anno fa con dichiarazioni politicamente infelici sull’immunità di gregge e sulla presunta limitazione dei danni al “dolore per la perdita dei nostri nonni”, lasciando così intendere che la vita lavorativa e produttiva avrebbe continuato ad essere sostenibile. Fortunatamente, tutti e tre questi leader hanno dovuto cedere – in forme e misure diverse – alla forza della realtà: quella di un virus che non si cura certo della politica. Trump ha pagato con la non rielezione mentre Johnson – che ha contratto il Covid in forma grave – ha poi sensibilmente corretto le strategie di contrasto all’emergenza sanitaria.
In Europa il fenomeno ha avuto connotazioni diverse:; non meno peculiari e problematiche in una democrazia come quella italiana che resta importante nel mondo a livello di G7. Un sisma globale come la pandemia tende di per sé a destrutturare i processi democratici: tutti sono spinti e si sentono autorizzati a partecipare a un confronto che si accende nella dicotomia ultima fra scienza e politica. L’opinione pubblica – spesso non adeguata formata – accampa le proprie pretese nei confronti della (vera) conoscenza scientifica. L’opportunità politica vuol prevalere sull’azione di governo, cioé sulla miglior tutela possibile dei veri interessi generali. Tutti si proclamano esperti, nessuno lo appare più veramente: nemmeno a chi ha la responsabilità finale di scegliere per tutti un’esperienza rispetto a un’altra.
L’impatto negativo più grave di queste forze culturalmente centrifughe è la distruzione del valore della conoscenza: che finisce per colpire anche al di là di una singola contingenza, per quanto grave. L’esempio irripetibile (c’è da augurarselo) è stata la scelta di Trump di esprimersi negativamente e di agire in modo contrario alle valutazioni esplicitamente espresse dal suo consigliere tecnico-scientifico sul Covid, Anthony Fauci, specialista riconosciuto nel suo campo.
Seppure in maniera assai più contenuta e tutto sommato non catastrofica, anche i governi europei che hanno affrontato il Covid dal febbraio 2020 in poi si sono mossi in modo ondivago e conflittuale rispetto alle raccomandazioni delle autorità scientifiche. Durante la prima fase della pandemia è stata subito evidente la necessità di concentrare gli sforzi sulle misure di protezione individuale e collettiva al fine di contenere con energia il contagio. Questo era l’interesse collettivo prioritario, da difendere di fronte a ogni rivendicazione particolare, per quanto in sé comprensibile. Invece un’alternanza molto erratica di chiusure e riaperture e un’adozione non rigorosa delle restrizioni socio-sanitaria hanno contribuito in misura incontrovertibile alla proliferazione di mutazioni del virus.
L’ultimo sviluppo clamoroso ha riguardato l’escalation di ostilità, diffusasi anche in Italia, contro il vaccino studiato con rapidità ed efficacia dall’Università di Oxford. Al di là degli esiti negativi puntuali – gli ulteriori ritardi di una campagna vaccinale già in difficoltà all’esordio – non saranno limitati i danni portati da troppe dichiarazioni di presunti competenti. La Gran Bretagna, grazie a questo vaccino, distribuito efficientemente in milioni di dosi, sta già vedendo un accenno di arcobaleno su un orizzonte che solo poche settimane fa era molto tempestoso. Là le scuole vanno riaprendo – verosimilmente in via stabile – mentre l’Italia le ha appena richiuse e nell’Unione europea le cose non vanno meglio.
Ennesimo atto di un dramma – l’espressione non pare fuori luogo – è stata ldunque ‘interruzione della distribuzione del vaccino Astra Zeneca in Europa, essenzialmente su pressione di un unico governo: quello tedesco. Una scelta legittima, ma non condivisa con l’EMA, l’agenzia comunitaria competente per i trattamenti farmacologici. Un passo essenzialmente politico, la decisione di Berlino, cui le autorità politiche degli altri Paesi non hanno saputo nell’immediato dir di no. Ma l'”ignoranza” della scienza è apparsa letterale e totale. Così come gravissima è apparsa la negazione traumatica di un indirizzo vaccinale affermato fino al giorno prima come fondato sulle acquisizioni della scienza.
Non sembra eccessivo parlare di “follia pura”, non solo perché le prime notizie sulle verifiche in corso sui presunti eventi nefasti sono per larga parte negative, ma soprattutto perché non hanno mai raggiunto nemmeno lontanamente il livello di allarme. Non solo i medici, ma gran parte delle persone minimamente informate e dotate di libertà di pensiero si rendono conto della gravità di questa scelta e di quanti danni essa sarà responsabile.
E’ comunque l’ora improcrastinabile di un ripensamento profondo delle articolazioni fra scienza e potere in una società democratica. Nella più di importante democrazia del globo, gli Stati Uniti, la massima autorità esecutiva negli stati Uniti in materia di sanità pubblica è il Surgeon General, certamente non un ministro totalmente sprovvisto di competenze medico-scientifiche. L’Italia ha il diritto-dovere di ricostruire anche una sanità non riducibile a “politica sanitaria”. E nessuna Recovery sarà reale se non punterà con più decisione sulla scienza.