È da ritenere apprezzabile lo sforzo di Andrew Spannaus, nella sua intervista al Sussidiario, per cercare di minimizzare le conseguenze della definizione di Putin come un “killer” da parte di Joe Biden. Si può concordare con Spannaus che questa uscita del presidente americano non preluda a una guerra con la Russia, tuttavia non può essere accantonata come “voce dal sen fuggita”. A meno che si tratti di una gaffe da aggiungere alle numerose di Biden quando era vicepresidente e che lo hanno costretto ad altrettanto numerose scuse. Tuttavia, le domande che sorgono sono numerose.
Una prima questione è se la domanda del giornalista fosse stata concordata o fosse spontanea, provocata dalle precedenti dichiarazioni di Biden su Putin. Comunque sia, e qualunque siano state le intenzioni di Biden, una affermazione così grave non può non avere altrettanto gravi conseguenze politiche, come già dimostrano le reazioni della Russia. Non sarà difficile per Putin convincere i russi che l’obiettivo dell’attacco non è la sua persona, ma la Russia come Paese. E Biden dovrebbe conoscere il detto inglese “Wright or wrong, my country”, che credo sia condiviso dalla maggioranza dei russi, come ha imparato la Germania nazista a suo tempo.
Sorge poi un’altra domanda: perché Putin sarebbe un killer? Per la questione Navalny? Che il regime russo perseguiti Aleksej Navalny non vi sono dubbi, ma Navalny è ancora vivo, anche se imprigionato. Né vi è certezza che il suo avvelenamento sia avvenuto per diretto ordine di Putin, a differenza dell’assassinio di Jamal Khashoggi, che un rapporto della Cia ha recentemente ricollegato ad un esplicito ordine di Mohammad bin Salman, uomo forte dell’Arabia Saudita. La pubblicazione del rapporto, secretato da Trump, è stata autorizzata da Biden e quindi una domanda su MbS sarebbe stata del tutto opportuna. O forse il fatto che i sauditi sono un ottimo cliente dell’industria statunitense delle armi ha trattenuto il giornalista? Sarà bene ricordare che quando, a suo tempo, qualcuno cominciò a parlare della nazionalità saudita di gran parte degli attentatori delle Torri Gemelle, da Riyadh si fecero presenti i notevoli investimenti sauditi negli States messi a rischio.
La domanda avrebbe potuto essere ragionevolmente posta anche su Xi Jinping, ma forse l’incombente incontro di Anchorage tra USA e China lo ha impedito. A questo proposito Mauro Bottarelli ipotizza che possa essere l’avvio di una nuova Yalta, con la Cina al posto dell’Unione Sovietica. Ipotesi da non escludere e che spiegherebbe l’attacco a Putin: un accordo con la Cina eliminerebbe dalla scena il ”nemico” per eccellenza, ma un nemico è necessario per l’opinione pubblica americana e anche europea. La Russia potrebbe essere un sostituto meno pericoloso in tale ruolo e il terreno è già preparato, anche se in Europa solo parzialmente.
Forse proprio l’Europa è il vero destinatario della dichiarazione di Biden. Non è improbabile che il principale obiettivo sia l’attuale Germania, in un periodo di transizione non semplice dopo il lungo “periodo Merkel”, la cui politica nei confronti di Mosca oscilla tra lo scontro e la collaborazione, soprattutto economico-finanziaria. È il caso del Nord Stream 2, che probabilmente dovrà essere digerito da Washington, rimanendo tuttavia un elemento di pressione nei confronti sia di Berlino che di Mosca.
Nel commentare le dichiarazioni di Biden, si tende a dimenticare che non è un nuovo venuto, ma che è stato vicepresidente degli Stati Uniti per i due mandati di Barack Obama, di cui ha apparentemente condiviso opinioni e decisioni. Anche quelle riguardanti l’Europa. Può essere interessante rivedere le opinioni da lui espresse in proposito nel 2014 durante un intervento ufficiale all’Università di Harvard, un uditorio quindi non proprio irrilevante. Anche allora il discorso era centrato su Putin e l’intervento in Ucraina, a proposito del quale Biden affermava che i vertici statunitensi, compreso il presidente, erano dovuti intervenire pesantemente su diversi Paesi europei, restii ad accettare la politica delle sanzioni contro la Russia. Questo un passaggio dell’intervento: “Spesso dovendo quasi mettere in imbarazzo l’Europa perché prendesse posizione e misure economiche per imporre costi”. Nella stessa occasione, Biden ha ridimensionato l’importanza per gli Stati Uniti dell’economia europea tanto da far titolare The Weekly Standard: “Biden prende in giro l’economia dell’Unione Europea”.
Un atteggiamento a rimorchio di quello del suo presidente, basti ricordare la pesante interferenza di Obama sul referendum Brexit e lo scontro con l’allora sindaco di Londra, Boris Johnson. Anche sulla Nato, il suo parere non differisce da quello di Trump, anzi, ha sottolineato che la richiesta di una maggiore partecipazione finanziaria degli europei risaliva alla gestione Obama, accusando Trump di essersene attribuito il merito.
Ancora una volta gli europei dovranno domandarsi se le proposte che arrivano da Washington sono di un alleato, sia pure “super”, o di una sorta di Padrone del Mondo, o che tale si crede.
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