Un anno fa come ieri un tragico corteo di camion militari carichi di bare diventò il simbolo della ferocia del coronavirus. L’esercito dovette mandare i suoi mezzi a Bergamo perché, nel deserto di un Paese impreparato e paralizzato dal lockdown, nessun altro era in grado di svuotare gli obitori. Nessun politico accorse a rendersi conto di persona dell’affanno degli operatori sanitari e a portare conforto ai familiari di chi moriva. Nessuno ci mise la faccia, a partire da quei vertici che la faccia la riservavano alle conferenze stampa e alle dirette via Facebook. Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio che per un anno ha governato a colpi di decreti personali, si recò a Bergamo e Brescia, le due città martiri, soltanto a fine aprile, a tarda sera, per incontrare le autorità cittadine e i giornalisti, non i familiari delle vittime.
Un altro presidente del Consiglio, Mario Draghi, è tornato ieri sui luoghi del dolore. Al cimitero di Bergamo si è recato di giorno, alla luce del sole, e non con il favore delle tenebre per non farsi troppo vedere. Il premier ha deposto fiori, ha stretto mani, ha letto un discorso, ha piantato un albero nel neonato Bosco della memoria ed è stato a lungo in silenzio in un cerimoniale al quale ha mostrato di non essere abituato, ingessato com’era in una gestualità estranea alla sua storia personale che pure è costretto a imparare rapidamente. Ma chi può essere abituato a un evento del genere?
Draghi, comunque, stavolta ci ha messo la faccia. “Non possiamo abbracciarci ma questo è il giorno in cui dobbiamo sentirci più uniti”, ha detto. “Questo luogo è un simbolo del dolore di un’intera nazione”, ha aggiunto. “È anche il luogo di un impegno solenne che oggi prendiamo. Siamo qui per promettere ai nostri anziani che non accadrà più che le persone fragili non vengano adeguatamente assistite e protette. Solo così rispetteremo la dignità di coloro che ci hanno lasciato”.
Draghi ha ricordato gli esempi di “operatori del bene” espressi nell’emergenza, dal personale ospedaliero al “miracolo” dell’ospedale da campo allestito in pochi giorni da alpini, Protezione civile e volontari, e ha indicato al Paese l’intera comunità bergamasca per avere “dato prova di saper reagire, di trasformare i lutti e le difficoltà in voglia di riscatto”, così come “tutti gli italiani non vedono l’ora di rialzare la testa e liberare le energie che hanno reso meraviglioso questo Paese”. Il premier ha pure annunciato, fuori dalla cerimonia, che oggi stesso riprende la campagna vaccinale con il farmaco di AstraZeneca dopo il via libera europeo. “La priorità del governo rimane quella di realizzare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile”, ha ribadito.
Anche un tecnico, se è un vero uomo di Stato, è capace di parlare al cuore della gente. Il cambiamento rispetto a Conte è drastico, magari non piacerà molto ai giornalisti abituati al profluvio comunicativo del precedente capo del governo, ma il messaggio arriva ugualmente, più diretto, preciso, concreto. “La sospensione di AstraZeneca attuata lunedì con molti altri Paesi europei è stata una decisione temporanea e precauzionale”, ha confermato Draghi a Bergamo. L’annuncio è arrivato prima di quello tedesco, a dimostrare la volontà di accelerare e non andare a rimorchio di Berlino.
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