Il primo nucleo di soldati italiani di supporto alla missione europea Takuba è arrivato in Mali e sull’impegno e il ruolo dell’Italia il ministro della Difesa, Guerini, ha rilasciato ieri un’intervista a Repubblica. “Vedo il nostro impegno militare in Sahel in piena complementarietà con quello in Libia, nel Corno d’Africa e nel Golfo di Guinea” ha detto Guerini. “Si tratta di un’unica area di crisi, con una forte recrudescenza jihadista, le cui conseguenze si riverberano nel Mediterraneo e in Europa”. E ancora: “In questo scenario credo che alla cooperazione vada affiancata una presenza militare visibile ed esplicita per garantire la nostra sicurezza”. Ne abbiamo parlato parecchie volte, di quell’immenso territorio per lo più desertico diviso fra varie nazioni, ex colonie francesi, devastate da anni dalla presenza di bande jihadiste che controllano il traffico dei migranti che raggiungono la Libia per poi tentare di sbarcare in Europa, soprattutto in Italia.
La missione italiana, ha detto Guerini, è “in complementarietà con quelle in Libia, nel Corno d’Africa e nel Golfo di Guinea”, e ha fatto intuire che non si tratterà della solita missione cosiddetta “di pace”, ma di qualcosa di più. Secondo Marco Bertolini, già comandante del comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore in molte missioni internazionali, “il ministro ha preso atto di una realtà che non è più risolvibile solo attraverso la politica, ma richiede un impegno militare, cioè di forze armate pronte a combattere. Il Sahel è legato al Mediterraneo da quel ventre molle che è diventata la Libia ed è territorio di libera circolazione di tutti i gruppi jihadisti che finiscono per influenzare la situazione nel Mediterraneo alle porte di casa nostra”.
Le parole del ministro Guerini danno l’impressione di sottintendere un impegno militare? Lei che ha preso parte a missioni in Somalia e nel Kosovo, vede questo tipo di intenzione?
Credo intendesse questo. Credo che il ministro Guerini abbia correttamente preso atto di quello che è il mondo nel quale viviamo.
Un mondo dove l’impegno militare è diventato necessario?
Non c’è dubbio che viviamo una situazione nella quale le armi hanno la loro importanza. Perseverare in un atteggiamento naif che fa pensare che le cose si possano risolvere sempre ai tavoli negoziali è diventato qualcosa di non più applicabile. In Sahel c’è un problema militare dato dalla presenza di molti gruppi jihadisti, legati all’Isis, ad al Qaeda, a Boko Haram, che non si risolve per via politica. È un problema militare e come tale deve essere risolto in primo luogo militarmente.
È un’area geografica dove la presenza francese per via del suo passato coloniale è primaria. Per noi che significato ha?
La Francia è la prima nazione interessata, visto che ci troviamo in un’area francofona e di principale interesse politico ed economico francese, però è interesse anche nostro. Il Sahel è legato al Mediterraneo da quel ventre molle che è diventata la Libia. Non c’è più il muro libico, c’è un corridoio che viene percorso senza difficoltà da chiunque voglia venire in Europa e in Italia. È un problema assolutamente anche nostro, come ha giustamente ricordato il ministro.
Nel Sahel passa la rotta dei migranti, che sfocia nel Mediterraneo, ma visti i nostri rapporti non proprio limpidi con la Francia, sarà possibile una collaborazione effettiva?
Una collaborazione esiste già in Mali, dove abbiamo una piccola missione militare di addestramento. Da un punto di vista tecnico problemi non ne sussistono. I problemi sono di carattere politico.
In che senso?
La Francia è molto brava a definire i suoi obiettivi strategici e poi a farli diventare anche degli altri, coinvolgendo l’Europa nei suoi interessi strategici. Noi siamo invece sempre in attesa che ci dicano quali obbiettivi strategici dobbiamo difendere, per poi sposare le cause degli altri.
Dunque dobbiamo prepararci a un impegno difficile e anche pericoloso?
Nel caso specifico il controllo del Sahel è importante per noi come lo è per la Francia. Il Sahel sta diventando il punto nel quale questi movimenti jihadisti trovano le condizioni ottimali. Controllare questi movimenti per noi è fondamentale. Collaborare con la Francia corrisponde anche ai nostri interessi.
Rispetto alla nostra politica estera criticata da anni per la scarsa capacità di intervenire, le parole di Guerini secondo lei segnano una svolta?
Sicuramente c’è una inversione di tendenza. Per decenni abbiamo avuto un approccio minimalista in politica estera, adesso stiamo sbattendo il muso contro una realtà che non ha tenuto conto delle nostre posizioni ideologiche, stiamo facendo di necessità virtù. Bisogna avere gli strumenti per operare in questo mondo, anche militari. Più andremo avanti e più lo strumento militare sarà importante.
È la terza guerra mondiale di cui ha parlato spesso il Papa?
Certe dichiarazioni incredibili, come quella di Biden nei confronti di Putin, ci dicono che non è un mondo di pane, amore e fantasia. È un mondo difficile per la pandemia e ci sono tentazioni di soluzioni militari dei problemi politici che ci dovrebbero preoccupare molto. Avere le capacità di difenderci è diventato fondamentale.
(Paolo Vites)
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