Siamo stati tutti blastocisti. Prima ancora di essere embrioni, prima che spuntasse il bottone embrionale che permette di distinguere la placenta, tutti siamo stati una sfera di circa duecento cellule disposte in un’organizzazione complessa, pronta a svilupparsi e a diventare “noi”. La rivista Nature racconta che due studi indipendenti, coordinati dalla Monash University di Melbourne e dal Southwestern Medical Center dell’Università del Texas, sono riusciti a ricreare in laboratorio dei blastocisti partendo o da cellule embrionali o da cellule della pelle. In entrambi i casi questa vita sintetica era troppo artificiale perché potesse evolvere e diventare umanità, troppo perfetta per riprodurre l’imperfezione misteriosa che sta all’inizio del nostro essere viventi.
“È solo per poter studiare le malformazioni possibili del futuro feto o per poter comprendere le cause degli aborti spontanei a questi albori dell’esistenza” dichiara Jun Wu, coordinatore di uno dei due progetti di ricerca che non ha alcuna intenzione di riprodurre un essere umano, ma solo di capire, di vedere, di studiare.
“Non sono veri embrioni umani: anche se venissero impiantati in una pseudo-madre non andrebbero avanti nello sviluppo” si affretta a confermare Carlo Alberto Redi, presidente del Comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi, rassicurando sul fatto che gli “organoidi” (così li chiamano) non devono sollevare alcun dibattito etico: essi rientrano solo nelle infinite possibilità che oggi si presentano all’uomo per conoscersi, capirsi, curarsi e guarirsi.
Nessuna paura, insomma. Roba da specialisti, da nerd della medicina. Temi da bioeticisti e da persone competenti in materia. Eppure il blastocisti che è in me non nasconde qualche domanda, qualche perplessità. Come se, avvicinandosi a lui, ci stessimo avvicinando ad un mistero grande. Un mistero che ci piace tanto studiare e capire. Ma che ancora oggi, dopo miliardi di anni, dobbiamo ancora imparare a custodire.
Ma non vi date pensiero per quel che scrivo: sono solo un blastocista, uno che, nell’indifferenza generale, ci ha creduto fino in fondo.
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