Cristiani per le persone, non per il potere

Lo scrittore spagnolo José Jiménez Lozano è scomparso un anno fa. Val la pena recuperare una sua lezione importante sull'essere cristiani oggi

È trascorso un anno dalla morte di José Jiménez Lozano, uno dei migliori scrittori spagnoli della fine del XX secolo e degli inizi del XXI. Saggista provocatorio, profondo e affascinante nelle sue opere di narrativa, delicatissimo poeta, tanto forte nel maneggiare un castigliano nel quale vi è un eco della lingua popolare e dei grandi classici, quanto ignorato dalla intellighenzia culturale. Le sue “colpe” erano due: essere cattolico e aver vissuto la sua vita adulta in un villaggio della Castiglia, Alcazarén, lontano dalle botteghe del potere.

Poco prima che si compisse un anno dalla sua scomparsa, ancora non sufficientemente compianta, è stato ripubblicato Meditación sobre la libertad religiosa (Ediciones Encuentro). Si tratta di un piccolo studio concepito sul filo dell’approvazione del documento del Concilio Vaticano II sulla Dichiarazione della Libertà Religiosa: Dignitatis Humane. Nelle sue pagine lo scrittore descrive dettagliatamente come il cattolicesimo spagnolo abbia costruito una teologia politica nell’Età Moderna. Si potrebbe pensare che le sue riflessioni, cinquantacinque anni dopo e limitate al mondo spagnolo, non siano più interessanti. Tuttavia, in quelle pagine viene trattato e giudicato un problema universale che continua ad avere grande attualità.

Jiménez Lozano ha scritto quel testo nella Spagna franchista, dieci anni prima che la dittatura finisse. In quel momento, il cattolicesimo pareva godere di un buono stato di salute, come negli anni ’50 in Italia o in Francia. Però, già allora ha saputo vedere che “la cristianità, prima o poi, svanirà in un modo che non farà svanire i suoi benefici, ma non potrà illuderci che il cattolicesimo istituzionalizzato conserverà o faciliterà la fede delle masse”. Era la stessa denuncia che faceva, qualche anno prima, Mounier in Francia quando diceva che in molte nazioni dell’Occidente si è arrivati a domandarsi se “il cristianesimo, che appare ancora potente, non sia altro che un’illusione collettiva”, spiegando che “ci sono segni nascosti che la più grande delle tempeste forse sommergerà gli edifici della cristianità”.

Jiménez Lozano mette in evidenza che di fronte al vecchio cristianesimo, il “cattolicesimo biologico”, “il primo obbligo cristiano continuerà a essere la formazione di personalità cristiane. Durante il periodo controriformista (il periodo successivo alla controriforma) lo abbiamo dimenticato e abbiamo visto quanto ci è costato caro”. Si è dato quasi tutto per scontato, il cattolicesimo si è trasformato in un fatto sociologico, di casta: “La semplice esibizione del nome cattolico (…) serve a tranquillizzare la coscienza e per porsi sopra gli altri”. Tutto ciò viene accompagnato da precise opzioni politiche. Così “dall’invenzione specificamente cristiana del differenziare Chiesa e Stato”, “si cade nella tentazione della teocrazia e del cesarismo”, con maggiore virulenza a cominciare dal XVI secolo, “nella Spagna dei Re Cattolici e poi degli Asburgo e dei Borboni”, rispetto al Medioevo. Dopo un XVIII secolo di “disperata lotta contro le idee moderne della Rivoluzione Francese e dell’enciclopedismo”, si arriva al “destino singolare e ben più tragico del XIX secolo”. Un tempo “nel quale per essere cristiano si doveva rinunciare alla libertà e al mondo moderno e nel quale il mondo moderno rifiutava la Chiesa e la fede di Cristo in quanto ritenuti i suoi maggiori nemici”.

In questo contesto la fede appare “come qualcosa di statico e non vitale, deciso una volta per sempre, perfino nella sua formulazione, su cui non occorre tornare”. Jiménez Lozano si chiede se la modernità potrebbe essere stata diversa se non ci fosse stata un’unione tra trono e altare. “Diversamente ci sarebbe stato un mondo moderno nato in disparte e contro la Chiesa?”. L’autore, però, non si ferma al passato, si focalizza sul presente: “Non è possibile saperlo e la discussione non ha senso, quello che è sicuro è che non avremmo confidato tanto nei nostri successi politici”.

L’obiettivo, secondo lo scrittore castigliano, non è la battaglia per le istituzioni, ma per le persone, per l’educazione di un io cristiano. Il suo invito a superare la  “mentalità di cristianità” quando le cristianità sono sparite, non può essere considerato inutile, perché c’è una mentalità alla difensiva che sopravvive. “Il nostro problema è che siamo cristianità in un’epoca nella quale tutte le cristianità sono morte e forse è provvidenziale che siano morte”, sottolinea. E aggiunge: “Essere cristianità è nostro orgoglio (…), per questo anche la nostra psicologia cattolica continua a essere in perpetua difesa”.

Jiménez Lozano ha ipotizzato una “Chiesa giovane” che “dovrebbe nascere dalla croce dei nostri dolori e speranze. Ma splendente e gioiosa come i mandorli” che fiorivano sotto la sua finestra. Lo scrittore è morto all’inizio di marzo, quando i mandorli erano pieni di fiori bianchi.

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