Uno studio ha incrociato i dati sulla seconda ondata della pandemia forniti dal ministero dell’Istruzione, dalle aziende sanitarie e dalle Protezione civile. La didattica in presenza, lo mostrano i risultati, non inciderebbe sulla curva della pandemia. “I numeri dicono che l’impennata dell’epidemia osservata tra ottobre e novembre non può essere imputata all’apertura delle scuole”: questa una delle conclusioni nelle parole, riportate dal Corriere della Sera, di Sara Gandini dello Ieo di Milano. “Di più – ha aggiunto la studiosa, che ha preso parte alla ricerca – la loro chiusura totale o parziale, ad esempio in Lombardia e Campania, non influisce minimamente sui famigerati indici Kd e Rt. Ad esempio, a Roma le scuole aprono 10 giorni prima di Napoli, ma la curva si innalza 12 giorni dopo Napoli, e così per moltissime altre città”.
Il tasso di positività tra gli studenti è risultato essere inferiore all’1%. Intanto il governo studia il nuovo Dpcm (quello attuale è in vigore fino al 6 aprile) con l’ipotesi, annunciata dal premier Mario Draghi, di tenere aperte le scuole dell’infanzia e le primarie anche in zona rossa: “Mentre stiamo vaccinando è bene iniziare a pianificare le aperture”, ha detto Draghi nell’intervento al Senato. “Se la situazione epidemiologica lo permette – ha aggiunto – cominceremo a riaprire la scuola in primis, con le primarie e l’infanzia anche nelle zone rosse, allo scadere delle attuali restrizioni, speriamo subito dopo Pasqua”. In questa intervista Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), commenta lo studio relativo alla seconda ondata.
Presidente, cosa ci indica lo studio rispetto alle azioni concrete da intraprendere?
La ricerca conferma quello che già sapevamo, perché si basa sui dati dei mesi passati, conferma cioè che a scuola l’ambiente era sostanzialmente sicuro. E lo era perché le regole di distanziamento, di utilizzo della mascherina e di disinfezione e igiene delle mani venivano rispettate in modo rigoroso. Naturalmente non bisogna confondere una ricerca che si basa sui dati del passato con le caratteristiche delle nuove varianti, che sono più aggressive e contagiose.
Ci dica di più.
Le indicazioni fornite dal Cts in queste settimane riguardavano le nuove varianti, da cui è scaturita l’esigenza di maggiori restrizioni. Ecco la ragione per la quale abbiamo tenuto e stiamo per ora tenendo chiuse le scuole alla frequenza nelle zone rosse.
Secondo lo studio i ragazzi contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti e gli stessi contagi a scuola derivano più dagli insegnanti che dagli alunni.
Questo è in linea con quello che noi abbiamo sempre sostenuto, cioè che le scuole non fossero focolai di contagio. Adesso però sono cambiate le condizioni e le caratteristiche dell’epidemia, perché le varianti che si stanno diffondendo sono appunto più contagiose e aggressive, quindi seguiamo le indicazioni del Cts che sono legate di volta in volta all’evoluzione della pandemia.
La chiusura delle scuole ha causato e causerà ancora un grave danno ai ragazzi dal punto di vista psicologico. Sarà questa la prossima emergenza a cui dovremo far fronte?
Premetto che bisogna sempre tener presenti entrambe le esigenze. Da un lato, abbiamo l’esigenza di tutela della salute collettiva dal contagio e, dall’altro, abbiamo l’esigenza di far esercitare il diritto all’istruzione, che vuol dire tante cose, non vuol dire semplicemente apprendere qualche nozione, vuol dire crescere insieme agli altri. Queste due esigenze vanno contemperate e a seconda del momento e della gravità dell’epidemia.
Il governo ha infatti annunciato l’ipotesi di una riapertura delle scuole dopo Pasqua, anche in zona rossa.
In ogni momento il punto di equilibrio può cambiare, quindi se a volte è stata privilegiata la sospensione della frequenza, altre volte può essere privilegiata la frequenza, questo è ragionevole, non possiamo avere una posizione aprioristica valida per tutti i momenti.
Come recupereremo il tempo perso sul fronte della socialità, essenziale allo sviluppo psicofisico dei ragazzi?
Credo che sicuramente si siano creati, per così dire, dei danni alla relazionalità e che però ci sia modo di recuperare. I danni credo riguardino maggiormente i bambini piccoli, che avranno però più tempo per recuperare perché rimarranno più tempo dentro il sistema scolastico. Invece se parliamo di ragazzi più grandi, che stanno per uscire perché hanno finito il secondo ciclo di studi o ne sono usciti l’anno scorso, credo anche che ne abbiano sofferto un po’ meno, perché comunque già strutturati dal punto di vista psicologico.
È anche vero che quella adolescenziale è un’età ancora più fragile dal punto di vista del cambiamento e della crescita.
Sì, però è anche vero che i ragazzi più grandi hanno molte più occasioni di frequentare i loro amici al di fuori dell’ambiente scolastico. Invece un bambino di 9-10 anni difficilmente vedrà i propri amici al di fuori della scuola.
Riguardo all’aspetto didattico, usciti dalla pandemia, di che entità saranno i ritardi da recuperare?
Io tendo a dare relativamente poca importanza all’aspetto quantitativo delle nozioni apprese, da questo punto di vista mi sento abbastanza vicino alla posizione di Recalcati, che sostiene che questa è stata un’esperienza molto formativa.
Cioè?
Se è vero che gli alunni avranno acquisito meno nozioni, probabilmente saranno cresciuti di più a causa anche dello stress emotivo al quale sono stati sottoposti e alle considerazioni e riflessioni che hanno dovuto necessariamente compiere. Non sarei così pessimista. Certamente c’è da recuperare qualche lacuna. Questo però andrà fatto, secondo me, dopo aver rilevato con una certa oggettività quali sono le lacune e le perdite formative che si sono venute a generare.
Un aspetto di questa educazione “intangibile” che i ragazzi potrebbero aver acquisito è proprio quello relativo al rispetto delle misure d’igiene e distanziamento, che forse gli adulti fanno più fatica a imparare?
Assolutamente sì. Fra l’altro, il rispetto delle misure d’igiene collettiva in qualche misura può essere perfettamente collocato all’interno dell’insegnamento di educazione civica, per cui i nostri bambini e i nostri ragazzi hanno fatto un corso accelerato di educazione civica, molto pratica però. Io credo che in futuro saranno più portati a rispettare gli altri di chi non ha vissuto questa esperienza o di chi l’ha vissuta meno a lungo.
(Emanuela Giacca)
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