“Se lo sport dimenticherà l’ordinanza Schwazer perderà ogni credibilità”: queste parole del collega Franco Arturi descrivono esattamente quel che sta succedendo, ma le sue parole valgono anche e soprattutto per il mondo della comunicazione. Se infatti un assiduo frequentatore dei media nostrani volesse farsi un’idea del perché siano successe le cose denunciate dall’ordinanza del giudice Pelino, finirebbe per restare deluso.
Certo, non sono più i tempi in cui la vicenda era coperta da una spessa coltre di complice omertà. Nei 543 giorni intercorsi tra la richiesta di sequestro delle urine incriminate e la loro consegna all’autorità giudiziaria italiana, al massimo si è letto un trafiletto di poche righe una tantum e neppure quello quando il laboratorio di Colonia tentò di spacciare al perito del Tribunale di Bolzano presunta urina fuori dalla catena di custodia delle provette.
Qualche rara eccezione alla censura collettiva la si cominciò a trovare dall’estate 2018 quando l’analisi genetica e ilsussidiario.net rivelarono valori abnormi nella concentrazione del Dna delle urine del marciatore. Una tantum era anche la presenza di qualche giornalista sportivo alle udienze del processo. Un diffuso quotidiano sportivo, non avendo un inviato, basò lo stringato resoconto di una udienza su una telefonata all’avvocato della Wada, lasciando ovviamente ignaro il lettore di quanto fosse realmente accaduto in quell’aula di tribunale.
L’ordinanza finale del 18 febbraio ha fatto da spartiacque: servizi e articoli si sono improvvisamente moltiplicati, in realtà ben pochi hanno letto le sue 87 pagine. Anzi, sulla falsariga di prima, quando a nessun direttore veniva in mente di commissionare una seria e articolata inchiesta giornalistica sul caso Schwazer, ora le uniche notizie che trovano spazio sui media riguardano il tema della partecipazione o meno di Schwazer alle Olimpiadi di Tokyo. Tutte le denunce del giudice Pelino sull’arbitrarietà del sistema sportivo e sulla frode processuale messa in atto dai suoi dirigenti sono già passate in cavalleria: nessuno (con qualche rara eccezione) esige spiegazioni, nessuno indaga, nessuno protesta se la Wada diffama un nostro Tribunale o se il boss della World Athletics minaccia l’Italia, nessuno ritiene una notizia che il Comitato etico dell’atletismo mondiale si chiami fuori dal valutare i reati dei suoi dirigenti emersi nel processo di Bolzano. Figurarsi poi se a qualcuno venga in mente di incalzare la magistratura per una doverosa inchiesta penale che tenti di appurare (6 anni dopo…) chi, come, dove e quando ha alterato le urine di Schwazer!
Quel che conta è che porti almeno una medaglia…
Sul resto, amici come prima.
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