Una delle grandi differenze tra Mario Draghi e Mario Monti – l’altro premier tecnico al quale spesso l’ex presidente della Bce è stato inopportunamente accostato – è che Mario Draghi per accettare l’incarico non ha chiesto di essere protetto dal ruolo di senatore a vita, una specie di superpensione aggiuntiva richiesta dall’altro, che pure era presidente ed era stato rettore e tuttofare della Bocconi.
Draghi non ha chiesto lo scranno senatoriale e non punta ad alcun ruolo elettivo, da elemosinare a qualche partito o, in genere, agli elettori. Quando dice che l’entità dello scostamento di bilancio nazionale necessario per rifinanziare l’economia sarà decisa a metà aprile e che non si è ancora discusso dell’importo, che sarà deciso a seconda di dove si vorrà orientare l’azione del governo, “perché non è che si dice 20, 30 o 50 per vedere l’effetto che fa”, ecco: dice tutto. Dice che lui governa per fare cose concrete oggi ma utili anche domani e non per farsi votare da qualcuno. Chiaro?
Chiaro sì, ma un po’ meno alla Lega che, movimentista nel Dna, non sta parlando più degli altri partiti della maggioranza arlecchino che, forzosamente, sostiene Draghi: sta parlando quanto gli altri, ma mentre gli altri parlano senza dire assolutamente niente, i leghisti parlano e, come poi capita, a volte straparlano. E fatalmente si beccano le reprimende o l’ironia.
Il microdato politico emerso ieri dalla corposa conferenza stampa di Draghi – la prima più generale che economica – sta tutto nella doppia bacchettata inferta a Salvini e a Garavaglia. È un microdato perché Draghi neanche si sogna di fare il tifo per la sinistra: è e resta sideralmente neutrale rispetto alle beghe dei partiti. Ma intanto al Capitano rifila una lezioncina. Salvini aveva definito “impensabile” confermare le chiusure, Draghi lo corregge, dicendo che semmai è “desiderabile” riaprire, ma si farà né più né meno di quel che i dati suggeriranno, o meglio imporranno, di fare. A Garavaglia che, ottimista, aveva incoraggiato gli italiani a prenotare le vacanze il premier ha invece replicato ironicamente che anche lui, se potesse, prenoterebbe volentieri le vacanze… Non proprio la replica seria che forse Garavaglia avrebbe preferito.
Ma il cuore operativo dei messaggi che Draghi ha dato ieri – peraltro ponendosi verso la platea dei giornalisti in un atteggiamento più sciolto, disinvolto e quasi rilassato – è la visione del ruolo del governo: che si riassume in quella parola chiave così cara a Draghi, il pragmatismo. “Bisogna cominciare davvero a pensare al futuro, che poi è vicino, non è lontano. L’economia non sono solo i ristoranti e i bar chiusi, c’è anche questo, certo, ma c’è anche tanta gente che nel frattempo va al lavoro e produce. Bisogna azzeccare una politica economica ben disegnata per i prossimi sei mesi, e questo vale a livello italiano ma ancor più a livello europeo, e riguarda la quantità di stimolo che riusciremo a iniettare all’economia nei prossimi sei mesi”.
Avete capito: sei mesi. Sei mesi cruciali, sembra dire Draghi, durante i quali nessuno disturbi il manovratore. Sull’economia “occorre fare di più. Occorre una politica fiscale espansiva in tutti i Paesi europei”, sottolinea il premier, aggiungendo che sia la Francia che la Germania vanno nella stessa direzione: “Il punto è vedere se si riuscirà a fare abbastanza, oggi il pericolo è fare poco, non un po’ di più! Gradatamente ci sposteremo sempre di più verso il sostegno agli investimenti, per creare anche nuovi posti di lavoro” e favorire i “tanti aggiustamenti che la nostra società dovrà subire”. Insomma, uno sguardo pragmatico ma molto lungo sull’economia, e un’olimpica indifferenza verso il côté politico che, là fuori – tra lotte intestine al centrosinistra, paralisi grillina, lunga veglia forzista e movimentismo leghista – hanno già ripreso a imperversare. Là fuori, però: sia chiaro.
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