Alla fine delle lunghe notti di Bruxelles sorge sempre il sole. Si usava dirlo ai tempi della Comunità economica europea (Cee) composta di sei Stati membri piuttosto omogenei negli anni Sessanta del secolo scorso. Si voleva dire che al termine di una trattativa pur molto difficile che durava sino all’alba (quella sulla impostazione delle regole di base della Politica agricola comune finì alle 6 della mattina) si giungeva a un accordo di solito in gran misura basato sulle proposte iniziali della Commissione.
Al termine del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo del 25 e 26 marzo non solo non è sorto il sole, ma è arrivata una vera e propria tempesta. Il Consiglio è terminato il 25 marzo a ragione delle differenze tra i vari Stati membri sull’andamento della campagna vaccinale, sulle determinanti delle disfunzioni e sui possibili rimedi. Non sono stati neanche sfiorati gli altri numerosi, e importanti, punti all’ordine del giorno.
Il 26 marzo che sarebbe dovuto essere il giorno della conclusione della riunione e degli accordi, è scoppiata una vera bomba: la Corte Costituzionale tedesca, il Bundesverfassungsgericht, ha bloccato il processo di adesione della Germania al Next Generation Eu, lo strumento europeo con cui l’Unione europea prevede di mettere a disposizione degli Stati membri 750 miliardi di euro per far fronte agli effetti della pandemia e ai costi per finanziare la ripresa.
Le due notizie sono due facce della stessa medaglia: la crisi sanitaria e le relative misure per il sollievo e per la ripresa hanno messo l’Unione europea a 27 in profonde difficoltà. Da un lato, si è tentato, senza grande successo, di mettere in atto una strategia comune per la vaccinazione. Da un altro, si è abbozzato un programma comune per facilitare la ripresa, programma che naviga in non buone acque.
Il piano vaccinale è in profonde ambasce: l’Ue è molto indietro rispetto agli Stati Uniti e al Regno Unito, ma anche a Israele e ad alcuni Paesi dell’America Latina. Le determinanti sono sia di lungo che di breve periodo: nel lungo periodo, l’Ue non ha né facilitato la ricerca farmaceutica con adeguati stanziamenti, né promosso l’insediamento di stabilimenti per la produzione di vaccini nel proprio territorio; nel breve periodo, la Commissione e i rappresentati degli Stati, che l’hanno accompagnata nella trattativa, hanno negoziato al risparmio gli acquisti dei vaccini e concluso contratti che in alcuni casi prevedono “opzioni” invece di vere e proprie compravendite con consegne a scadenze molto precise. La vista è stata corta sia nel promuovere un’industria farmaceutica europea, sia nel trattare con le “major” internazionali.
In questo quadro, è verosimile che la case produttrici privilegino chi paga prezzi più alti e ha preso impegni più precisi. È anche possibile che alcune delle “major” abbiano conclusi due contratti paralleli (all’insaputa delle controparti) per il medesimo lotto di vaccini: uno per il prodotto vero e proprio (ad esempio con gli Stati Uniti e il Regno Unito) e uno per “l’opzione” (con l’Ue). È un’ipotesi da verificare ma implica, come ha sostenuto l’Italia, un atteggiamento rigoroso nei confronti delle case farmaceutiche. E, vorrei aggiungere, della Commissione europea che si è fatta affidare un compito superiore alle proprie capacità e possibilità.
Più complesso, il temporale scatenato dal ricorso alla Corte Costituzionale tedesca. In punta di diritto, il ricorso riguarda le norme di ratifica del Next Generation Eu e dei suoi regolamenti approvate dal Bundestag il 25 marzo e dal Bundesrat il giorno seguente. In attesa del giudizio della Corte, il Presidente della Repubblica Federale Frank-Walter Steinmeier non può firmare, né emanare la norma. Il ricorso è stato presentato dall’economista Bernd Lucke, da sempre contrario all’unione monetaria e ora alla guida di un piccolo movimento politico Bündnis Bürgerwille. Secondo il ricorso, Next Generation Eu è il primo passo per un’Europa a debito comune. In effetti, una parte rilevante dei 750 miliardi sarebbe finanziata tramite la creazione di debito comune europeo, con il rischio che alcuni Paesi si rivelino insolventi e scarichino sugli Stati membri più stabili (come la Germania) il costo complessivo.
Fino a sentenza definitiva, dunque, l’adesione della Germania allo strumento di ripresa dovrà attendere, ma intanto la situazione potrebbe già avere conseguenze a livello politico. La Corte dovrebbe esprimersi nel giro di qualche settimana, ma se i tempi si dovessero allungare i giudici potrebbero far saltare il calendario della Commissione europea che punta a ottenere la ratifica dei Parlamenti dei 27 Paesi prima di maggio, per procedere a luglio con lo stanziamento dell’anticipo dei fondi, anticipo su cui conta molto l’Italia. Il Governo tedesco ostenta sicurezza: il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, ha detto che “il finanziamento del Recovery Fund basato su risorse proprie si basa su un fondamento solido, dal punto di vista della Costituzione tedesca e del diritto europeo. Perciò siamo ben attrezzati contro il ricorso”. Anche la Commissione europea ha fatto sapere di “essere fiduciosa in una rapida decisione” dei giudici e di essere “convinta della legalità della decisione”. Si tratta comunque di un intoppo di non poco momento. La decisione della Corte Costituzionale tedesca, quale che essa sia, potrebbe innescare, in Germania, dinamiche che andrebbero oltre la pronuncia e che entrerebbero nella campagna elettorale per il voto di settembre.
Ciò ha implicazioni profonde per il futuro dell’Ue. Come ha scritto Rocco Buttiglione su questa testata, il ricorso indica la necessità che l’Ue abbia una propria Costituzione. Tuttavia, chi è pronto a proporla, e a perseguirne la preparazione, negoziazione e ratifica di un Trattato internazionale di valore costituzionale in una situazione in cui la crisi sanitaria ed economica ha messo sempre più in luce le differenze di sensibilità e obiettivi all’interno degli Stati membri nei confronti dell’Ue?
Cosa può fare l’Italia? Purtroppo non molto: tenere la barra dritta in materia di programma vaccinale. E attendere le decisioni delle toghe rosse di Karlsruhe.
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