Lo studio italiano sull’apertura della scuola, i cui risultati sono stati anticipati nei giorni scorsi, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet – Regional health Europe”. La ricerca scagiona la scuola, sostenendo che sulla base dei dati epidemiologici non c’è alcuna correlazione significativa tra la diffusione dei contagi Covid e le lezioni in presenza. Si tratta di uno studio mastodontico, il primo di questo tipo in Italia, in quanto coinvolge oltre 7,3 milioni di studenti e 770mila insegnanti. L’analisi riguarda la seconda ondata, ma comunque ci sono stati aggiornamenti alla luce della variante inglese. I ricercatori hanno esaminato i dati del Miur, li hanno incrociato con quelli di Ats e Protezione civile coprendo così un campione iniziale pari al 97% delle scuole italiane. La ricerca, condotta da una squadra di studiosi di diverse discipline coordinati dal medico Luca Scorrano (Università di Padova) e dell’epidemiologia e biostatistica Sara Gandini (Ieo), arriva a tre conclusioni.
In primis, l’impennata dell’epidemia Covid registra tra ottobre e novembre non può essere imputata all’apertura della scuola. Non c’è alcuna correlazione: la chiusura totale o parziale delle scuole non influisce sull’indice Rt, anche con la variante inglese. Inoltre, bambini e ragazzi si contagiano meno degli adulti. E i casi di trasmissione del coronavirus da studente a insegnante sono estremamente rari.
“SECONDA ONDATA NON IMPUTABILE A SCUOLE”
Le analisi hanno portato i ricercatori a dire che l’impennata dell’epidemia Covid osservata tra ottobre e novembre 2020 non è imputabile all’apertura della scuola. la loro chiusura, totale o parziale, non ha influito sulla diminuzione degli indici di trasmissibilità. A Roma, ad esempio, le scuole in autunno hanno aperto dieci giorni prima di Napoli, ma la curva si è innalzata 12 giorni dopo rispetto a Napoli. La ricerca però è diventata un caso: Andrea Capocci de Il Manifesto ha segnalato che lo studio è circolato molto ancor prima della pubblicazione nelle chat dei genitori “no Dad”, ma riconosce il fatto che in quel periodo il tasso di alunni positività è stato del 30 per cento inferiore rispetto a quello osservato nel resto della popolazione. Osservava però che «i tassi assoluti di contagio tra bambini e ragazzi risultino inferiori è probabilmente una conseguenza del fatto che i bambini infetti sono in gran parte asintomatici, e non della sicurezza intrinseca dell’ambiente scolastico». Gli stessi dati analizzati dai ricercatori evidenziano che gli insegnanti si sono contagiati ad un ritmo doppio rispetto alla popolazione generale. La tesi è che si contagino tra loro: questo caso è quattro volte più frequente.