Caro direttore,
avrei voluto scriverti solo fra qualche giorno per raccontarti come viviamo a Rangoon la Settimana Santa e la Pasqua. E mi ero anche ripromesso di non raccontarti più di di morti e violenze perché, non essendo un giornalista professionista, vivo il racconto coinvolgendomi nei fatti che vedo e nel dolore degli amici che me li raccontano. Con l’esito di un dolore ancor più grande. Ma quanto accaduto il 27 marzo mi impone di scriverti. Subito.
Ieri avrebbe dovuto essere un giorno di festa. O quantomeno di pace. Parlare di “festa” mi sembra forse eccessivo. Ricorreva una festività buddista e l’anniversario della rivolta contro l’occupazione giapponese nella seconda guerra mondiale (come da noi il 25 aprile). Invece è stata l’apoteosi della follia. Mentre nella nuova capitale “i ribelli” festeggiavano con una parata militare, altri militari circolavano per le strade e sparavano ad libitum. I morti sono oltre 100! Molti anche bambini. Ad oggi, i morti dall’inizio sarebbero circa 400 ma, come ti ho già scritto, in un paese dove molti non hanno i documenti, sono cifre scritte sulla sabbia.
La cosa brutale è che i militari non sparavano a manifestanti ma a gente che era per la strada. In molti casi vere e proprie esecuzioni. Quello che in Italia abbiamo vissuto nella guerra antinazista (e scene qua già viste nei 30 anni precedenti). I morti sono persone che erano per strada o bambini che giocavano nei cortili. I soldati sparavano su case private colpendo anche chi era dentro. Poi – non contenti – sono entrati in quelle case per rubare quel poco che c’era. Questo non è accaduto sporadicamente ma con metodo. Il fatto che tutto ciò sia avvenuto in numerose città e villaggi distanti tra loro mi fa dire che non sia la pazzia di un qualche giovane militare voglioso di guadagnarsi i galloni! O in preda alle droghe che pure circolano a man bassa (siamo il più grande produttore al mondo!). Allora sorge la domanda: è solo follia (violenza per la violenza) o deliberato intento? E perché? Cui prodest?
Ma pur con fatica, vado avanti nel racconto dei fatti. Per avvicinarsi senza essere notati, i soldati si sono impadroniti, in più città, delle ambulanze. Poi dai finestrini, i militari sparavano a chi capitava sotto tiro. Il fatto che sia un dato ripetuto conferma quel dubbio: siamo alla follia totale o c’è un deliberato intento? Due episodi emblematici.
Un giovane nostro amico stava andando a fare la spesa, è arrivata una camionetta dell’esercito. I genitori hanno fatto in tempo a rientrare in casa, il ragazzo era già in strada per andare al mercato. È stato freddato con un colpo alla tempia. Poi i soldati sono entrati in casa e hanno razziato quello che potevano. I famigliari hanno dovuto lottare per avere la salma del ragazzo. Ieri sono andato a trovarli. La madre era davanti al corpo del figlio e – come in trance – mi ripeteva: “Mio figlio è andato a far la spesa, ora arriva. Ti fermi a cena con noi?”. Gesù aiutala!
L’altro mi viene raccontato da altra città. I volontari del dispensario cattolico di quella città stavano assistendo un ferito. Non essendoci ambulanze, un giovane ingegnere 28enne si è offerto di portarlo in moto all’ospedale. Non sono mai arrivati all’ospedale.
Semmai ve ne fosse stato bisogno, la giornata di ieri ha rappresentato plasticamente la totale e assoluta separazione tra esercito e nazione. I militari che hanno giurato di difenderci dai nemici, ora sono i nemici! Ma la cosa più grave è che temo che la giornata di ieri allontani ogni possibilità di mediazione. Se già era difficile, ora è quasi impossibile.
Nella popolazione (e quindi nei politici) c’erano – semplificando – due posizioni. L’una realista (con cui io concordavo) sosteneva che per uscire da questa situazione bisognava trovare un compromesso. Non si può pretendere di annullare il ruolo dell’esercito. È irrealistico. Troviamo un accordo, anche perché il rancore degli sconfitti può produrre nel tempo maggiori danni. I gesuiti la chiamavano “Ragion di Stato”. L’altra sosteneva (con altrettanto legittime ragioni) che non si può sempre vivere sotto il ricatto di un esercito che – se le elezioni non vanno come previsto – azzera tutto, non rinuncia ai suoi privilegi quando il paese è alla povertà, depreda le risorse incamerando i proventi nei suoi conti bancari a Singapore (la Svizzera dell’Estremo Oriente).
Ora diventa difficile sostenere la prima posizione. Ergo: qualcuno ha voluto deliberatamente affossare qualsiasi possibilità di dialogo? Questo Mister X dove abita? A Rangoon o a Pechino?
Perché, ancora una volta, delle due l’una: se la Cina non c’entra, alzi il telefono; se c’entra … Game over! Comunque il sentimento del popolo è che non si procede con questa violenza, senza avere le spalle sicure. A Pechino, qualcuno non solo ha avvallato il golpe ma anche i fatti di ieri. Sennò non sta in piedi questo dramma.
Un lettore dal Myanmar
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