Appartiene al Polittico della Misericordia (1445-62) questa Crocifissione di Piero della Francesca che si colloca, solitaria, sopra l’imponente Madonna che, del polittico, occupa il centro, quasi ne fosse il perno gravitazionale attorno a cui far ruotare l’intera composizione.
Riesce difficile riconoscere nella sagoma nera che si staglia nitida ai piedi della croce la medesima donna che, gigantesca, “ingombra” la scena sottostante: quanto popolata e multiforme risulta l’una, tanto nuda e scabra ci si offre l’altra che trova tuttavia, nella prima, la sua naturale scaturigine.
Il perfetto equilibrio compositivo dell’opera si gioca tutto nella drammatica postura dei due personaggi ai piedi di Gesù, morente sulla croce: a sinistra è Maria, protesa in un gesto di straziata supplica, le grandi mani levate come a simulare un ideale, struggente abbraccio al Figlio: quel Figlio, amoroso giglio, che più non custodisce nel suo grembo ospitale, che non accudisce più, mentre alacre lavora nella bottega di Giuseppe e che, ormai sfinita, ha smesso di seguire per le strade polverose della Galilea! Il suo “bambino” è diventato irraggiungibile e a lei una spada ha già trapassato l’anima (cfr. Lc 2,35b). È un dolore, quello della Vergine, muto e composto, che rimbalza e riecheggia nel dirompente grido di Giovanni le cui braccia, spalancate, trafiggono lo spazio del Golgota conferendo corpo e volume all’intera scenografia. Anche negli occhi di Giovanni, lo sguardo levato alla croce, si assiepa dolorosa la memoria del tempo trascorso, della virile tenerezza del “suo” maestro che da subito lo ha preferito in un dialogo silenzioso tramato di sguardi e di impliciti suggerimenti. Lui, “il discepolo che Gesù amava”, è lì, ai suoi piedi insieme alla madre per raccogliere l’ultima volontà del Figlio che li consegna, l’uno all’altra, in una reciproca maternamente filiale custodia.
Si confonde, il legno chiaro della croce, con il fondo dorato imposto a Piero dalla committenza; vi si disegna, con precisione anatomica, la sagoma ossuta di Gesù consumato ormai dallo strazio della Passione. Ha conficcato Piero, la croce, sulla landa desolata del Calvario, una landa che sembra essersi dilatata, quest’anno, al mondo intero: uno sconfinato Calvario di dolore e di morte che deve poter ritrovare finalmente un senso alla altrimenti assurda sofferenza che da lunghi mesi lo assedia.
Come una radice in terra arida: così Isaia prefigura Cristo nell’Antico Testamento (cfr. Is 53,39). E così ce lo offre Piero, in questa preziosa tavola del Polittico della Misericordia, quasi volesse rammentare a ciascuno il compito assegnato: “tramutare il dolore in bellezza” (cfr. A. D’Avenia, Precipitare, da Ultimo banco, Corriere della Sera del 29 marzo 2021).
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