Una leadership di Draghi in Europa favorita dalla debolezza di Merkel e Macron, un governo di unità nazionale fino al termine della legislatura, e un Pd in crisi. Sì, perché vincolandosi alla scelta di Zingaretti e Bettini, Letta perde ancora una volta l’opportunità di fare del Pd un partito realmente riformista. Restando addirittura succube di Grillo. È l’analisi di Stefano Folli, editorialista di Repubblica.
Folli, il governo è solido?
I partiti che lo sostengono vengono da anni di grande litigiosità e non possiamo pensare di avere da un giorno all’altro l’armonia universale per il solo fatto che è arrivato Draghi. D’altra parte mi pare che nessuno voglia portare gli screzi oltre il livello di guardia.
Nemmeno Salvini, sulla scelta di chiudere fino a fine aprile?
Alla fine Draghi lo ha convinto e Salvini in conferenza stampa ha di fatto ripetuto lo stesso concetto: stiamo chiusi intanto che i dati non ci permettono di riaprire. Le possibili deroghe, nella sostanza, confermano il sì alla decisione del governo.
A chi pesa di più il lockdown?
Certamente alla Lega. Il suo elettorato è senz’altro il più scontento.
Dal punto di vista politico o economico?
Economico. Draghi piace moltissimo a un certo mondo economico e imprenditoriale, per il quale, tuttavia, il lockdown è un trauma vero.
Noi abbiamo fatto l’ipotesi che Draghi e Franco non conoscano fino in fondo l’Italia della micro-imprenditoria, quella che soffre di più.
È una tesi che non mi convince. Draghi conosce perfettamente il tessuto economico del paese.
Come vede la situazione del Pd a guida Letta?
Non credo che Letta sia tranquillo. Ha imboccato la strada tracciata da Zingaretti e Bettini dell’alleanza con M5s e forse nel breve tempo altro non poteva fare. Ha tre obiettivi: ravvivare la proposta politica del Pd, rimettere insieme l’arcipelago della sinistra e superare nei consensi i 5 Stelle. Il rilancio dei temi identitari serve a questo.
L’operazione è difficile: vedi alla voce elezioni amministrative.
Certo. L’obiettivo di Letta è fare un’alleanza con M5s cercando di ribaltare i rapporti di forza. La scommessa è che i 5 Stelle siano un partito in declino, ormai con poco filo da tessere.
Ed è un’analisi fondata?
È l’unica possibilità che gli lascia l’opzione Zingaretti. Un’altra strada ci sarebbe, ma serve molto coraggio.
Quale?
Puntare solo sul Pd e su una proposta energicamente riformista che manca in Italia da anni. Mentre nella prima ipotesi Letta può avere l’ambizione di vincere le politiche, nella seconda no: l’esito sarebbe minoritario, con il Pd al 17-18% al massimo.
E quali sarebbero i contenuti?
Quelli di un riformismo liberal-democratico: Stato meno pervasivo, cioè apparati più competenti e più leggeri, e questione fiscale al centro: meno tasse. Con l’obiettivo di parlare ai ceti produttivi.
Un bel programma.
Ma poco conforme alla storia del Partito democratico. E comunque, quello del Pd e della sua alleanza è un problema molto serio.
Che cosa intende?
M5s è un partito assistenzialista. Se il Pd si rifugia nella propria identità di fondo, che non è liberal-riformista se non in piccola parte, il rischio è che la somma di Pd e M5s produca un corpo massiccio del 35-38%, ma senza alcuna forza propulsiva e senza nessuna capacità innovativa. Cose di cui in Italia c’è disperato bisogno.
Bisogna poi fare i conti anche con l’altra parte. In M5s, intorno a Conte soprattutto, è buio quasi assoluto.
I Cinquestelle si prenderanno Conte come capo, ma non mi pare che Grillo gli abbia consegnato le chiavi di casa. Il caso di Roma, che è dirimente, parla chiaro.
Il suo pronostico?
Adesso non è un problema di pronostico, ma di logica politica. Letta non può perdere Roma, soprattutto Letta non può perdere il Campidoglio a favore della Raggi. Che non va sottovalutata. Ha un suo seguito, che al primo turno le può permettere di andare abbastanza bene, anche se non credo che possa ridiventare sindaco di Roma.
Ha l’appoggio del Papa?
Può essere che ci sia un sostegno di ambienti vaticani. Ma il problema è un altro. Grillo e Letta vogliono la stessa cosa, un patto M5s-Pd, ma senza che il proprio movimento o partito sia subordinato all’altro. Grillo vuole la Raggi, Letta no. Se Conte è il vero leader di M5s e vuole l’alleanza con il Pd, deve poter sacrificare la Raggi. Se questo non avverrà, come io credo, sarà chiaro che in M5s comanda Grillo, non Conte.
Cosa conclude?
Che Conte è un capo limitato. Se non come Crimi, poco ci manca. È il metodo-Grillo: dare spazio a qualcuno e scavalcarlo sul più bello, per far vedere che il capo è lui. Infatti Draghi quando ha formato il governo ha telefonato a Grillo. Insomma l’alleanza, a cominciare dalle comunali di Roma, passa da lui.
Lei ha scritto che con Merkel e Macron più deboli, Draghi può essere un nuovo punto di equilibrio in Europa. È solo o i partiti di governo possono aiutarlo?
Per come siamo messi oggi in Italia, l’appoggio dei partiti non serve a niente. Draghi può confidare soltanto sul proprio prestigio personale, quello di una figura autorevolissima in Europa. I partiti potrebbero ostacolarlo, ma non hanno nessun interesse a farlo. E gli eurobond sono un tema che può piacere anche ai sovranisti.
L’europeismo del Pd è lo stesso di Draghi?
Assolutamente no. Per il Pd tutto ciò che fa o ha fatto l’Unione Europea va bene. L’europeismo di Draghi è pragmatico, va alle cose e tenta di cambiarle quando non vanno.
Entreranno in conflitto?
No. L’europeismo del Pd è superato da Draghi, ma il Pd non ha nessun motivo per ostacolare il capo del governo.
Lei ha auspicato che Draghi arrivi fino al 2023 perché le riforme da fare sono enormi. Questo vuol dire due cose: che Draghi è fuori dalla corsa per il Colle e che si può ipotizzare una proroga di Mattarella. È corretto?
Se da qui a ottobre il governo avrà preso una buona velocità di crociera mediante vaccinazioni, Recovery e riforme come fisco, Pa, infrastrutture, e se farà cose percepite dai cittadini, mi pare difficile che Draghi possa lasciare tutto per andare al Quirinale. Ovviamente non ho informazioni al riguardo.
E lato partiti?
Idem, perché se le cose funzionano, il governo Draghi diventa un grande volano di rilegittimazione per tutto il sistema politico. A quel punto arrivare al ’23 non parrebbe così fuori dalla realtà.
Sulla proroga di Mattarella?
Fino ad oggi Mattarella ha escluso il reincarico e occorre tenerne conto. Oltre, per ora, è impossibile vedere.
(Federico Ferraù)
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